San Remo, equivoco.
A proposito, se San Remo non esiste, chi è il patrono di Sanremo? Ovvio: San Romolo, già vescovo di Genova intorno al V secolo. “Rœmu” sarebbe infatti la contrazione dialettale del nome Romolo. Qualcosa comunque non torna: il San Rœmu venerato dai sanremaschi (che sarebbero i sanremesi insediati da più generazioni) è un eremita che riceveva il pubblico presso una grotta sopra la città, in quella che oggi è la frazione di San Romolo. Dal canto loro i genovesi riconoscono che il loro vescovo sarebbe potuto morire davvero a Villa Matutiæ, come si chiamava allora Sanremo, visto che nel X secolo organizzarono la traslazione delle reliquie vie mare (erano i tempi delle scorrerie saracene). Il santo avrebbe vissuto e officiato a Genova, ma sarebbe venuto a mancare a Sanremo durante una visita apostolica: una prassi che però nell’alto medioevo non esisteva ancora, i vescovi restavano per lo più presso la loro sede. Insomma, magari i Romoli erano due, uno vescovo a Genova e uno eremita a San Romolo frazione di Sanremo: quest’ultimo poi magari neppure si chiamava Romolo; “Remo” potrebbe anche essere la contrazione di “eremo”: non lo sapremo mai. Di sicuro c’è solo che nessun Remo è stato canonizzato – per ora – dalla Chiesa cattolica.
I sanremesi hanno preso spunto dalla situazione per tentare qualcosa che in Italia nessun altro ha provato a fare in età moderna: la secolarizzazione del nome, da San Remo a Sanremo. Ormai ce l’hanno fatta, ma non è stata così semplice… (continua)
La guerra poi prese una piega diversa, come tutti sappiamo, anche se pochi sanno che verso la fine De Gaulle aveva una mezza idea di occupare Sanremo e forse ci sarebbe riuscito, se Truman non si fosse messo in mezzo. (Chissà che grandi festival della chanson française ci siamo persi). Ancora oggi sono i wikipediani francesi, più che gli italiani, a litigare sulla toponomastica: nelle loro cartine perlopiù si legge “San Remo”, la gara ciclistica sull’Équipe si scrive “Milan – San Remo”; il festival della canzone invece non si sa come si chiama perché già tre metri a ovest di Ventimiglia non interessa più a nessuno. E gli italiani? Nel 1940 “San Remo” aveva vinto, ma proprio per questo motivo “Sanremo” poteva vantare un vago sapore di anticentralismo antifascista. Ma la verità è che gli istituti geografici continuarono a copiarsi a vicenda la grafia più diffusa (“Sanremo”), mentre istituzioni nazionali come ISTAT o anagrafe tributaria persistevano nel più legale “San Remo”. Nello Statuto del comune (2002) si legge Sanremo, ma sulla Gazzetta Ufficiale non risultano variazioni. Sui cartelli avete sempre letto Sanremo, ed è difficile che la cosa cambi a questo punto. Rimane la curiosità: perché San Remo non piaceva ai suoi abitanti? D’accordo, quel Remo forse è un Romolo, ma la cosa non è così bizzarra: anche il “Polo” che ha dato il nome a San Polo d’Enza e San Polo di Piave è in realtà una variante dialettale del solito San Paolo. Né i sanremaschi danno l’aria di essere feroci anticlericali. Allora cosa c’era che non andava in una grafia attestata fino al ‘700?
Forse la religione non c’entra, forse è una pura questione di campanile. In Italia ci sono decine di migliaia di centri abitati intitolati a nomi di santi, ma hanno tutti in comune una cosa: sono piccoli. In effetti, con meno di sessantamila abitanti, Sanremo è il più grande di tutti. La superano soltanto Sesto San Giovanni e Quartu Sant’Elena, che però prima della rivoluzione urbana del Novecento erano due piccoli centri, orbitanti rispettivamente intorno a Milano e Cagliari. Sanremo invece ha sempre fatto storia a sé, fin da quando dopo la rivolta del 1753 i genovesi vi costruirono la fortezza di Santa Tecla con l’artiglieria puntata verso il centro della città, dimostrazione evidente di una certa vocazione all’autonomia. È l’unica città italiana che cominci per “san” che poteva benissimo diventare capoluogo di provincia, anzi non si capisce bene perché ciò non sia successo. Ai tempi del regno di Sardegna, Sanremo poteva ben accettare di considerarsi un semplice comune della provincia di Nizza: quando però quest’ultima fu ceduta a Napoleone III in cambio di un po’ di sostegno nelle guerre d’indipendenza, Sanremo si ritrovò in provincia di… Porto Maurizio. Non deve essere stata facile da mandare giù.
Sanremo è sempre stato un centro più grande del suo capoluogo, anche quando nel 1923 Porto Maurizio si unì a Oneglia formando il comune di Imperia. Forse a cospirare contro la città dei fiori è stato anche quel santo inesistente, ma che come tutti i santi italiani condanna i centri omonimi a una dimensione di piccolo centro: fenomeno curioso, che non ha paralleli in altri Paesi di cultura cattolica (in Spagna c’è San Sebastian, in Francia Saint Étienne) ortodossa (San Pietroburgo) e perfino protestante (San Francisco). Come se quel “San” ci impedisse di pensare a Sanremo come a una città medio-grande di respiro europeo, e la condannasse a quel destino di strapaese che maldigeriva già nel ventennio, con le sue sagre e i suoi festival, all’ombra dei casermoni della speculazione edilizia. Spero sempre che non ci abiti più nessuno, nemmeno d’estate, e che siano pronti per essere buttati giù: ma d’altronde ogni anno in febbraio spero anche che nessuno faccia la fila per entrare al teatro Ariston, e ogni anno in febbraio mi sbaglio.
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