La narrazione del dolore

Domenica sera, a Che tempo che fa (qui l’intervista), un Massimo Gramellini con le lacrime agli occhi ha sviscerato personalissimi dolori della sua infanzia, ravvivatisi da poco e riportati nel suo ultimo libro Fai bei sogni.

A dicembre Xeni Jardin, blogger, coautrice di BoingBoing, ha cominciato a raccontare via twitter il percorso medico e personale del suo tumore al seno.

Da un anno Paola Natalicchio, giornalista freelance, affronta con un blog “incantato e dolente” (il regno di Op, acronimo che sta per Oncologia Pediatrica) la malattia del figlio diagnosticatagli a 11 mesi.

In Tutti i bambini tranne uno, Philippe Forest ha cantato una straziante ninna nanna per la figlia di 4 anni, mentre la vedeva morire di cancro.

E’ possibile partecipare al dolore altrui?
C’è o ci dovrebbe essere giudizio, analisi o solo condivisione, compartecipazione e com-passione?
In un momento in cui tutto sembra confessabile, c’è ancora uno spazio privato per l’indicibile?

Qualcuno ha ritenuto inopportune e offensive alcune delle parole usate per discutere in questo post: probabilmente ha ragione, e non possiamo che scusarcene.

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