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Storia di un invasore

Andrea Sarubbi, giornalista ed ex parlamentare, ha raccontato su Twitter la storia di un uomo congolese incontrato mentre elemosinava in un mercato di Roma.

Cappello in mano e rosario di legno al collo, Jean-Claude chiede l’elemosina tra i banchi del mercato di Monteverde. È per i suoi 3 figli, spiega in italiano stentato. Ma poi ringrazia in francese, con una benedizione che mi tocca il cuore. Ok, parliamo.

Jean-Claude è congolese, ma è scappato parecchio tempo fa. La Repubblica democratica del Congo è un concentrato dei problemi del mondo: ricchezze depredate e povertà diffusa, corruzione, guerre. Ora addirittura un presidente che non se ne vuole andare.

Dice Jean-Claude che nei prossimi mesi le cose potrebbero peggiorare: sta rientrando Jean-Pierre Bemba, appena scarcerato dalla Corte penale internazionale dell’Aja, e si prevede una resa dei conti con Kabila e le sue truppe. Non è il momento buono per tornare a casa, insomma.

La moglie di Jean-Claude, nigeriana, vive con i 3 figli in Sicilia. Lui è partito per cercare lavoro a Roma, poi è finito a elemosinare. Una moneta alla volta: appena arriva a 30 euro, al netto del poco che spende per mangiare, li manda alla famiglia. Per sé non tiene nulla.

Il resto della famiglia è in Sicilia perché è lì che sono sbarcati. Erano su un barcone, li ha salvati una nave blu di una ong tedesca. Gli mostro le foto della . Credo sia proprio quella, mi dice, e si commuove. Ma non è ancora niente rispetto a quello che mi dirà.

Il viaggio dal Marocco alla Libia gli era costato 4 mila dollari, 800 a persona. Un incubo, in cui ha visto ogni tipo di violenze: donne stuprate dai soldati libici davanti ai mariti, persino un bambino di pochi mesi – forse un anno – violentato sotto gli occhi dei suoi genitori.

Mentre scendono dal camion che li porta a Tripoli, mi racconta Jean-Claude, un militare dà un calcione a suo figlio di 4 anni. Lui sta per reagire, la moglie lo blocca e si mette a urlare: “Ne abbiamo già persa una! Vuoi che ci ammazzino pure questo?”. Ora arriva il pezzo brutto.

Jean-Claude ha vissuto 15 anni in Marocco, dove lavorava in condizioni disumane. Noi neri lì siamo trattati come animali, mi dice, raccontandomi della vita nella foresta e dei tentativi di arrivare in Spagna con la sua famiglia: Ceuta troppo controllata, meglio provare più a est.

Il 28.4.2008 salgono in 70 su uno Zodiac di 9 metri. Al largo di Hoceima li intercetta la marina marocchina: un agente tira fuori un lungo bastone uncinato e squarcia il gommone, facendolo affondare. Muoiono in 30, tra cui 4 bambini. Una è la figlia di Jean-Claude, che ha 7 anni.

[pausa]

Al mercato fa caldo, ci sono i Piccadilly a metà prezzo e i meloni freschi. Parecchia gente passa accanto a Jean-Claude, c’è chi lascia 20 centesimi ma nessuno si ferma ad ascoltare. Alcuni sembrano infastiditi anche da me, dalla confidenza che sto dando a un invasore.

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