Ma liberazione de che?

C’è stato un tempo in cui Gianni Alemanno sembrava il migliore della sua destra, poi tutto si è perduto – non svanito, non evaporato, ma crollato, rovinosamente crollato, portandosi dietro vent’anni di storia post-fascista e di svolte di Fiuggi, di An e di Gianfrancofini. Cinque anni dopo la presa del Campidoglio, fra un braccio teso e una celtica, Alemanno ha perso le elezioni. Ignazio Marino, il vincitore, dice che la città è stata liberata, come se ci fosse stato un nuovo 25 aprile. Siccome le parole sono nannimorettianamente importanti, dove sta la liberazione, anzi la Liberazione? Ancorché cialtroni – ed è un bene che Alemanno torni al mestiere di passante per caso – dove sono gli “occupanti”? C’è un cortocircuito fra la drammatizzazione del linguaggio, che evoca guerre civili, e la partecipazione elettorale. Perché al netto delle super sentite tensioni etiche contrapposte – occupanti versus liberatori – quello che colpisce alle elezioni romane è l’inesorabile vaffanculo di chi non è andato a votare. Come se gli scontri fossero una rievocazione teatrale che annoia lo spettatore. Fra cinque anni cosa ci sarà da liberare?

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