Lunedì pomeriggio la Columbia University, prestigiosa università di New York, ha cominciato a sospendere gli studenti che da due settimane occupavano il suo cortile con delle tende per protestare contro la guerra nella Striscia di Gaza e il ruolo del governo statunitense, che sostiene fortemente Israele. L’amministrazione aveva dato loro qualche ora di tempo per decidere se lasciare l’accampamento o subire forti azioni disciplinari: gli studenti hanno votato per continuare con l’occupazione, e ora ne stanno subendo le conseguenze. Nella pratica, la sospensione implica un accesso limitato agli edifici universitari: aule, edifici accademici ma anche dormitori.
Da qualche giorno era in corso una trattativa tra i leader della protesta e l’amministrazione, che aveva però raggiunto un punto di stallo. Per questo motivo lunedì mattina i manifestanti hanno ricevuto un comunicato in cui si leggeva che avevano tempo fino alle 14 di lunedì (le 20 italiane) per sgomberare l’accampamento in modo da permettere all’università di cominciare a organizzare la cerimonia di laurea che dovrebbe tenersi in quel cortile il 15 maggio. Secondo il comunicato, gli studenti che non se ne fossero andati entro quell’orario sarebbero stati sospesi temporaneamente dall’università (anche se non si sa per quanto), perché «stanno creando un ambiente inospitale per i membri della comunità». A quelli che avessero lasciato le proteste sarebbe invece stato permesso di continuare a frequentare regolarmente l’università e di non subire alcun procedimento per l’occupazione, a patto di firmare un modulo in cui si impegnavano a non infrangere le regole di condotta della Columbia fino alla fine dell’anno accademico.
Non è ancora chiaro quante siano le persone sospese. Il gruppo di studenti ha votato a maggioranza, per alzata di mano, di continuare a occupare il prato anche dopo la scadenza fissata dall’università: alle 14 c’erano ancora un’ottantina di tende e una sessantina di manifestanti. Sueda Polat, una delle leader delle proteste, ha detto che gli studenti si sarebbero mossi «solo se costretti con la forza». Polat ha anche spiegato che le trattative si sono bloccate perché l’università si rifiuta di considerare una delle richieste centrali degli studenti, ovvero l’interruzione dei rapporti tra la Columbia e una serie di aziende che hanno legami particolarmente stretti con il governo o l’esercito israeliano.
Le proteste alla Columbia University, come in molte altre università statunitensi, sia pubbliche che private, sono cominciate dopo l’attacco del gruppo radicale palestinese Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023: da allora diversi gruppi studenteschi hanno organizzato manifestazioni di solidarietà per le vittime israeliane dell’attacco, da una parte, e dall’altra di protesta contro le politiche di Israele, che ormai da mesi ha assediato e invaso la Striscia di Gaza, uccidendo più di 34mila persone. Da allora l’ateneo aveva cercato in più modi di contenere le proteste, per esempio con la limitazione delle manifestazioni entro specifiche aree ed entro determinati orari.
Infine, il 19 aprile la rettrice Nemat Shafik aveva deciso di chiedere l’intervento della polizia perché, a suo avviso, «l’accampamento e i relativi disordini rappresentano un chiaro e attuale pericolo per il regolare funzionamento dell’università». Più di 100 studenti accampati nel cortile erano stati arrestati per violazione di domicilio e poi sospesi, ispirando peraltro manifestazioni simili in molte altre università del paese.
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