Lunedì il Consiglio dei ministri ha deciso di estendere a 18 mesi il limite massimo di permanenza delle persone straniere non richiedenti asilo nei Centri di rimpatrio (CPR), ovvero i centri in cui vengono detenute le persone che non hanno un permesso di soggiorno valido per rimanere in Italia, in attesa di essere rimpatriate: quindi chi ha già ricevuto la convalida dell’espulsione (ma il rimpatrio avviene soltanto nella metà dei casi, in media).
Attualmente la detenzione può durare fino a 3 mesi, prorogabili per altri 45 giorni, ma da mesi il governo guidato da Giorgia Meloni lo voleva allungare, anche perché vede il potenziamento dei CPR come soluzione per gestire meglio l’immigrazione e favorire i rimpatri dei migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale.
L’estensione del tempo di detenzione a 18 mesi sarà valida per gli stranieri non richiedenti asilo «per i quali sussistano esigenze specifiche», come i casi in cui «lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei Paesi terzi».
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Il Consiglio dei ministri ha anche annunciato la costruzione di ulteriori CPR «in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili», probabilmente in caserme ed ex basi militari. Al momento ne esistono 10 in 8 regioni (Puglia e Sicilia ne hanno due ciascuna), per un totale di 1.300 posti: Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Macomer (Nuoro), Milano, Palazzo San Gervasio (Potenza), Roma, Torino e Trapani. Solo 9 di questi sono attivi, perché a inizio marzo il CPR di Torino è stato chiuso temporaneamente dopo una rivolta di alcune delle persone detenute, che avevano incendiato parte dei locali e reso inagibili gli spazi.
L’istituzione di nuovi CPR in zone poco popolate e lontane dai centri, tendenzialmente difficili da raggiungere per giornalisti e persone che si occupano della protezione dei diritti delle persone migranti, è stata molto criticata perché rende più facile la proliferazione di abusi e violenze. Nei CPR già esistenti, infatti, da anni le associazioni che si occupano di diritti umani denunciano le condizioni disumane e degradanti in cui si trovano le persone detenute.
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