Bottiglie di Chartreuse Gialla (Wikimedia Commons)

I monaci che producono il liquore Chartreuse hanno deciso di prendersela con calma

Vogliono «dedicare il proprio tempo al silenzio e alla preghiera», e in effetti procurarselo è diventato più difficile

A metà gennaio l’azienda che distribuisce la Chartreuse, liquore francese prodotto dai monaci certosini nel sud della Francia a partire da una complessa ricetta risalente al 1605, ha inviato una lettera ai propri distributori. Informava che i monaci avevano deciso di non aumentare la produzione del liquore – che è usato in alcuni cocktail piuttosto popolari tra gli appassionati, come il Last Word, e bevuto anche liscio – nonostante la forte richiesta a livello internazionale «per concentrarsi sul proprio obiettivo principale: proteggere la propria vita monastica e dedicare il proprio tempo al silenzio e alla preghiera».

I certosini sono uno degli ordini più rigorosi della Chiesa cattolica, piccoli gruppi di uomini che scelgono una silenziosa vita da eremiti: il primo istituto di certosini venne fondato nel 1084 dal santo cattolico San Bruno nella regione francese dell’Isère, e si chiama Monastero della Grande Chartreuse. La ricetta di quello che sarebbe diventato il liquore Chartreuse arrivò loro nel 1605 da un maresciallo d’artiglieria del re francese Enrico IV, François Hannibal d’Estrées, che lo presentò ai monaci dicendo di aver creato un “elisir di lunga vita”. La ricetta originale – che include 130 erbe, piante, fiori e altri ingredienti sconosciuti – venne migliorata dai monaci nel corso del diciassettesimo secolo e messa in vendita a partire dal 1764, con il nome di “Élixir végétal de la Grande-Chartreuse”.

Le ricette delle due versioni principali che si trovano in commercio oggi, la Certosa Verde (che è più delicata e ha un colore talmente riconoscibile da dare il nome a una tonalità, il “verde certosa”) e la Certosa Gialla (più dolce), vennero sviluppate nel 1840 circa.

Dato che è creato con decine di ingredienti naturali diversi – tra cui genziana, genepì, finocchio, verbena odorosa, anice stellato, angelica e cumino – il gusto della Chartreuse cambia con il passare del tempo, e alcune bottiglie particolarmente vecchie sono molto costose. Il suo gusto è unico, ma somiglia vagamente a quello di liquori italiani come lo Strega o il Galliano.

La ricetta è sopravvissuta a molte vicissitudini storiche che portarono più volte l’ordine monastico a essere esiliato dalla Francia o a dover scappare dal monastero per via di guerre, sgomberi e disastri naturali. Oggi i liquori vengono prodotti utilizzando la miscela d’erbe preparata dai pochi monaci della Grande Chartreuse che sono a conoscenza della ricetta segreta, mentre l’imbottigliamento, il confezionamento, la commercializzazione e il lavoro della distilleria sono gestiti dall’azienda Chartreuse Diffusion, creata nel 1970.

Negli ultimi decenni la Chartreuse è diventata un ingrediente diffuso per cocktail con componenti agrodolci o erbacee. Il più famoso è il Last Word, che si ottiene miscelando in parti uguali gin, succo di lime, liquore al maraschino e Chartreuse. Questo liquore francese gode anche di una certa notorietà nella cultura pop: il cantante Bruce Springsteen nella sua biografia scrive di amarlo, la scrittrice Amélie Nothomb lo fa bere ai personaggi dei suoi romanzi, sia Frank Zappa che Tom Waits l’hanno citato in alcune canzoni. Nelle stazioni sciistiche francesi viene spesso servito insieme alla cioccolata calda, a formare una bevanda che chiamano Verte Chaud, “verde caldo”.

Era un po’ di tempo che i siti specializzati che si occupano del mercato dei cocktail e dei liquori facevano notare che, soprattutto negli Stati Uniti, la Chartreuse (che in Italia è nota anche come Certosa) è diventata molto più difficile da trovare del solito, e alcuni baristi hanno detto anche di aver dovuto modificare le proprie ricette perché trovare questo ingrediente è diventato troppo complesso. Grossi rivenditori statunitensi come Total Wine da mesi informano i propri clienti che «questo prodotto non può essere aggiunto al carrello, perché è esaurito».

La lettera di gennaio offre finalmente una spiegazione a questa carenza. Al suo interno, l’azienda che distribuisce la Chartreuse a livello globale dice che «i monaci non vogliono più produrre il liquore su una scala superiore a quella necessaria a sostenere economicamente il proprio ordine. Creare milioni di casse di Chartreuse non ha alcun senso nel contesto ambientale in cui ci troviamo oggi, e avrebbe un impatto negativo sul pianeta nel brevissimo termine». L’azienda ha detto che continuerà a distribuire il prodotto prima di tutto nel mercato interno – quindi in Francia – e a mantenere «una presenza utile» nei suoi mercati più strategici: America settentrionale, Europa, Asia e Oceania.

Continua sul Post