I rottami del DC-8 dell'Alitalia che il 5 maggio 1972 si schiantò contro Montagna Longa (ANSA/ ARCHIVIO)

Il disastro aereo di Montagna Longa, 50 anni fa

In quello che a lungo rimase il peggior incidente dell'aviazione italiana morirono 115 persone, schiantandosi vicino a Palermo

Caricamento player

Il 5 maggio di 50 anni fa un aereo DC-8 di Alitalia, sigla AZ 112, precipitò poco prima dell’atterraggio all’aeroporto palermitano di Punta Raisi su Montagna Longa, un’altura tra Cinisi e Carini. Morirono 115 persone: 108 passeggeri e sette membri dell’equipaggio. È un incidente poco ricordato ma fino al disastro di Linate dell’8 ottobre 2001, che causò 118 vittime, rimase il più grave incidente aereo della storia dell’aviazione italiana. Le cause dello schianto non sono mai state del tutto chiarite: il processo che si tenne negli anni successivi le attribuì a un errore dei piloti, ma successivamente furono avanzate altre ipotesi.

L’aereo precipitò pochi minuti dopo le 22.20. Montagna Longa è alta 975 metri, e ora in cima c’è una croce che ricorda le vittime di quella notte. Il volo era partito da Roma Fiumicino, diretto a Palermo, con 25 minuti di ritardo. Alle 21.10 l’aereo si mise in contatto con la torre di controllo. Il comandante addetto alla radio, Roberto Bartoli, comunicò di trovarsi a 74 miglia nautiche dal VOR di Palermo, il sistema di radionavigazione Very High Frequency Omnidirectional Range. All’equipaggio vennero date informazioni sulla situazione meteorologica non ci fu nessun segnale di anomalia, nessuna richiesta di aiuto. La torre di controllo autorizzò l’inizio della discesa verso Palermo.

Dopo un ultimo contatto di routine non ci fu più nessuna comunicazione. La torre di controllo registrò una conversazione in inglese tra l’AZ 112 e un aereo in attesa di decollo da Palermo, poi ci fu un tentativo di contattare l’equipaggio che però non ebbe risposta. L’aereo si diresse contro un crinale a 935 metri d’altezza e si distrusse contro le rocce della cresta della montagna. I detriti e i corpi finirono su entrambi i lati della montagna, sia verso il comune di Carini sia verso quello di Cinisi.

I primi ad arrivare sul luogo dell’incidente furono i pompieri: i cadaveri erano sparsi in un raggio di centinaia di metri.

Molti passeggeri di quel volo erano siciliani che stavano tornando a casa per le elezioni politiche. Era venerdì sera, si sarebbe votato domenica. A bordo dell’AZ 112 c’era anche il procuratore generale di Palermo, Ignazio Alcamo, che aveva disposto il soggiorno obbligato di Francesco Vassallo, imprenditore legato all’espansione edilizia di Palermo di quegli anni, e della futura moglie del boss mafioso Totò Riina, Antonietta Bagarella. Volavano sull’aereo anche il comandante della Guardia di finanza di Palermo, Antonio Fontanelli, e il regista Franco Indovina, che stava raccogliendo materiale per un film su Enrico Mattei, il presidente dell’Eni morto dieci anni prima in un incidente aereo molto sospetto. Per il film, il regista aveva intervistato Angela Fais, segretaria di redazione del quotidiano L’Ora di Palermo, anche lei sull’aereo. E ancora, a bordo c’erano l’ex medico personale del bandito Salvatore Giuliano, Letterio Maggiore, e il giornalista e attivista del Partito Comunista Italiano Alberto Scandone. Seduto in una poltrona dell’AZ 112 c’era anche il figlio dell’allora allenatore della Juventus, Čestmír Vycpálek.

Le indagini e il processo che ne seguì attribuirono la responsabilità ai piloti. Si parlò esplicitamente di «errore del pilota» che non seguì le indicazioni della torre di controllo. Dalla scatola nera non venne nessun aiuto: era fuori uso già da alcuni giorni.

A contestare le conclusioni a cui giunsero le indagini fu subito l’Anpac, l’Associazione nazionale piloti aviazione commerciale, che avanzò molti dubbi soprattutto in base alla lunga esperienza dell’equipaggio ai comandi del volo. Inoltre, nel corso delle indagini erano stati trascurati, secondo molti parenti delle vittime, alcuni elementi importanti. Innanzitutto, furono eseguite solo due autopsie e non venne preso in considerazione il fatto che i passeggeri non avessero le scarpe, indizio che poteva far pensare che l’equipaggio avesse avvertito i passeggeri di un possibile ammaraggio. Inoltre, alcuni testimoni avevano detto di aver visto l’aereo già in fiamme prima dello schianto.

Nel 1976 il vicequestore della Polizia di stato di Trapani, Giuseppe Peri, realizzò un dossier in cui sosteneva che l’incidente dell’AZ 112 fu causato da un attentato realizzato da terroristi fascisti in collaborazione con alcune cosche mafiose nell’ambito della strategia della tensione di quegli anni. Quel dossier rimase ignorato per anni fino a quando la sorella di una delle vittime, Maria Eleonora Fais, non lo recuperò: le indagini furono riaperte ma poco dopo vennero nuovamente chiuse. Qualche anno dopo il fratello di un carabiniere morto nello schianto sostenne che l’aereo era stato abbattuto durante esercitazioni della NATO nei cieli siciliani.

Ci fu la riapertura delle indagini anche dopo la pubblicazione di un filmato girato poco dopo il disastro, in cui si vedevano chiaramente alcuni corpi integri e alcuni no: segno, secondo un’ipotesi avanzata in quella circostanza, della presenza a bordo di una bomba in una parte dell’aeromobile.

Nel 2012 fu la Repubblica a formulare un’altra ipotesi, pubblicando una fotografia che ritraeva un pezzo dell’ala del DC-8 in cui, secondo il quotidiano, si distinguevano chiaramente tre fori d’entrata, come quelli prodotti dai proiettili di grosso calibro. Qualcuno ipotizzò che i proiettili fossero stati sparati da terra. Fu ricordato che Peppino Impastato, ucciso dalla mafia nel 1978, aveva denunciato la presenza di un campo paramilitare di addestramento di neofascisti sopra Cinisi, all’inizio degli anni Settanta.

Ancora oggi molti parenti delle vittime chiedono che le indagini vengano riaperte, perché, dicono, troppi elementi furono ignorati all’epoca. Ha detto alla Nazione Grazia Galardi, fiorentina, cugina di una vittima: «Vogliamo una verità che non sia quella ufficiale, cioè l’errore umano del pilota perché su questa storia ci sono sempre stati, tanti, troppi misteri».

Lo scorso gennaio Rosario Ardito Marretta, docente di Aerodinamica e dinamica dei fluidi dell’università di Palermo, aveva sostenuto nel libro Unconventional aeronautical investigatory methods, pubblicato da Cambridge Scholars Publishing, che l’incidente fosse stato causato da un sabotaggio. Al docente era stata commissionata un’indagine da parte dell’Associazione parenti delle vittime di Montagna Longa. Secondo ciò che è scritto nel libro, «una micro carica esplosiva posta in un incavo dell’ala avrebbe potuto creare uno squarcio con perdita di carburante e relativo incendio». Alla conclusione Marretta sarebbe arrivato attraverso prove di laboratorio, simulazioni e l’utilizzo di modelli matematici che mezzo secolo fa non erano ancora stati messi a punto e oggi sono invece possibili.

 

Continua sul Post