Alcuni dei panetti di cocaina sequestrati a bordo della nave Adelaide (Foto Guardia di Finanza)

La strana storia della nave portacontainer Adelaide

Trasportava a Genova oltre quattro quintali di cocaina, e a bordo è stato trovato morto un marinaio serbo con la gola tagliata

Domenica nel porto di Genova Prà è arrivata dal Brasile la nave cargo Adelaide, della compagnia Msc. In uno dei container c’erano 14 borsoni con 400 panetti di cocaina. La Guardia di Finanza ha sequestrato la droga e arrestato il portuale incaricato di ritirare i borsoni. Il giorno dopo, nella sala macchine della stessa nave, è stato trovato il corpo di un marinaio serbo di 50 anni, con la gola tagliata. Accanto a lui, sulla parete, c’erano alcune scritte fatte con il sangue. Secondo la procura i due fatti non sono collegati, e sono state aperte due indagini distinte. In base alle prime ricostruzioni il marinaio si sarebbe suicidato.

È dal 2013 che la procura di Genova indaga sulla complicità di alcuni lavoratori portuali con le organizzazioni di narcotrafficanti che gestiscono l’arrivo in Europa della droga dal Sudamerica. Negli ultimi anni sei portuali sono stati arrestati. Per questo la Guardia di Finanza controlla attentamente, attraverso un sistema di videocamere, ciò che avviene attorno alle navi cariche di container, in particolare quelle provenienti dai porti sudamericani.

La Adelaide, che è lunga 300 metri, era arrivata a Genova dopo essersi fermata nei porti di Las Palmas e Valencia, in Spagna, e in quello di Gioia Tauro, in Calabria. Domenica notte, su una banchina del gruppo PSA, che gestisce 60 terminal in 26 paesi del mondo (e che è estraneo alla vicenda), è stato notato un camallo (è il termine con cui a Genova vengono indicati i lavoratori addetti al carico e scarico delle navi) che fotografava l’interno di un container arrivato con la Adelaide. È una modalità seguita abitualmente da chi è incaricato di recuperare la droga: foto e filmati vengono inviati all’organizzazione a cui la cocaina è destinata per certificarne l’arrivo così come concordato con i narcotrafficanti sudamericani.

Il camallo, con l’aiuto di un altro lavoratore, ha posizionato il container su un trattore portuale e si è spostato in una zona non coperta dalle videocamere. Per questo la Guardia di Finanza ha deciso di intervenire subito senza attendere che il portuale incontrasse chi l’aveva incaricato del ritiro, come invece avviene solitamente durante questo tipo di operazioni. L’uomo, un 50enne, è stato arrestato in flagranza di reato. I 14 borsoni con la cocaina erano nascosti in un container contenente caffè destinato alla Lavazza (a sua volta estranea alla vicenda). In tutto erano 444,5 kg di cocaina.

Secondo un calcolo approssimativo degli investigatori, sul mercato la cocaina sequestrata avrebbe fruttato circa 30 milioni di euro. Oltre al camallo arrestato, la procura sta valutando l’eventuale coinvolgimento del portuale che l’ha aiutato a posizionare il container sul trattore. Ci sarebbero poi almeno altri tre complici che avrebbero sorvegliato la zona del porto dove è avvenuta l’operazione. Inoltre, gli investigatori stanno cercando di risalire alla persona a cui sono state inviate le fotografie dei borsoni.

L’uomo arrestato aveva l’incarico di ispettore della Culmv, Compagnia unica lavoratori merci varie. Il ritiro della cocaina sarebbe dovuto avvenire il giorno dopo, lunedì, ma quel pomeriggio la Guardia di Finanza aveva fatto spostare proprio quel container, assieme ad altri cinque, perché il giorno dopo dovevano essere sottoposti a uno dei controlli a campione che vengono effettuati regolarmente. Per questo l’uomo aveva deciso di agire subito, nella notte di domenica.

Il giorno dopo, quando già si era diffusa la notizia dell’arresto, alcuni lavoratori a bordo dell’Adelaide ferma in porto hanno trovato il corpo di un marinaio serbo. Aveva un profondo taglio alla gola: gli investigatori che avevano condotto l’operazione del sequestro dei 444,5 kg di cocaina hanno pensato che ci fosse un collegamento tra le due vicende. La procura ha aperto un fascicolo di indagine anche se, aveva specificato Francesco Pinto, il procuratore capo facente funzioni, l’iscrizione era da considerarsi «tecnica, per poter disporre l’autopsia». Accanto al corpo c’erano frasi scritte con il sangue in lingua serba, in cui l’uomo si raccomandava a Dio e chiedeva perdono alla sua famiglia. Vicino al cadavere non era stata trovata nessuna arma.

Ieri è stata effettuata l’autopsia: il medico legale Francesco Ventura, secondo quanto riporta il Secolo XIX, ha stabilito che i tagli e le ferite trovate sul corpo del marittimo sono «presumibilmente compatibili con un’azione suicidiaria». Sul corpo dell’uomo non sono stati trovati segni di colluttazione: il medico legale ha detto che il taglio alla gola sarebbe più compatibile con un suicidio piuttosto che con un omicidio. Secondo le indagini sarebbero anche autentiche le scritte sul muro, realizzate cioè dallo stesso marinaio. L’uomo, sempre secondo l’autopsia, si sarebbe ucciso lunedì.

Le indagini dovranno stabilire se esiste comunque un nesso tra il sequestro della cocaina e il probabile suicidio del marinaio. Resta anche da capire che cosa l’uomo abbia utilizzato per procurarsi la ferita alla gola e dove sia finito poi quell’oggetto.

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