Bosnia, 5 gennaio 2021 (AP Photo/Kemal Softic)

La disastrosa situazione nel campo migranti di Lipa

In Bosnia un migliaio di persone vive in ripari di fortuna dopo un incendio avvenuto nei giorni scorsi, malgrado siano pronti altri centri di accoglienza

Lo scorso 23 dicembre, il campo profughi di Lipa, nella città bosniaca nordoccidentale di Bihać, nel cantone di Una-Sana, è stato distrutto da un incendio in circostanze ancora da chiarire. Da allora, un migliaio di persone, che hanno tra i 19 e i 60 anni e che provengono principalmente da Afghanistan, Pakistan o Bangladesh, sono rimaste senza alloggio e senza nulla: di notte, le temperature possono scendere fino a 20 gradi sotto lo zero. Il campo di Lipa è molto vicino al confine con la Croazia e da lì le persone migranti cercano solitamente di entrare in Unione Europea. Le autorità lo hanno chiuso il 23 dicembre, senza però trovare soluzioni.

«Come sopravvivono? Solo Dio lo sa. Al momento si lavano nel fiume, ricaricano i telefoni alle stazioni di servizio o nei negozi se glielo permettono. Finora, la Croce Rossa di Bihać ha fornito loro cibo, vestiti, sacchi a pelo e altre coperte», ha detto a Libération Lejla Smajic, direttrice dello sviluppo e della pianificazione strategica dell’associazione Emmaus. Alcuni si sono sparsi nelle foreste vicine, altri sono rimasti in quel che rimane della struttura e partecipano a sit-in improvvisati: un centinaio ha iniziato per protesta a rifiutare i pasti distribuiti una volta al giorno dalla Croce Rossa, una delle poche organizzazioni ancora attive sul campo.

Dopo l’incendio, le persone rimaste senza alloggio dovevano inizialmente essere trasferite in una ex caserma delle forze armate a Bradina, a sud di Sarajevo, ma i piani sono cambiati a seguito delle proteste delle autorità e della popolazione locali. Il governo bosniaco aveva dunque deciso il trasferimento nel centro di accoglienza di Bira, sempre nella città di Bihać, che è stato ristrutturato con 3,5 milioni di euro provenienti dall’UE, ma che è ancora vuoto. Anche in questo caso, davanti all’intransigente rifiuto delle autorità locali e dei residenti di Bihać di ospitare anche in via temporanea i profughi, non è stato fatto nulla. Il governo ha per ora inviato a Lipa l’esercito per allestire delle tende sulle rovine del campo: una misura però insufficiente.

«L’unica opzione è aprire i centri di accoglienza a Bira e Ciljuge (vicino alla città di Tuzla, ndr). Questi campi sono pronti a partire e fornirebbero alloggio alle 2.400 persone che ora si trovano all’aperto. Ma sono pessimista», ha detto a Libération Peter van der Auweraert, rappresentante dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (IOM) in Bosnia-Erzegovina. Nonostante la buona volontà del Consiglio dei ministri bosniaco, che per due volte ha autorizzato l’apertura di questi campi, il 21 e 31 dicembre, il governatore di Una-Sana vi si oppone con forza, ufficialmente perché la popolazione è contraria.

L’Unione europea è allarmata dalla situazione e ha continuato a fornire assistenza finanziaria, ha detto Peter Stano, portavoce della politica estera dell’Unione Europea: «Dal 2018 l’Unione Europea ha speso 89 milioni di euro per sostenere la Bosnia-Erzegovina nella gestione del flusso di migranti» e lo scorso 3 gennaio la Commissione europea ha sbloccato altri 3,5 milioni di euro in aiuti umanitari per affrontare la situazione specifica del cantone di Una Sana. Sulla questione è intervenuto di recente anche l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE, Josep Borrell: «La vita di centinaia di migranti viene messa a repentaglio e i diritti umani fondamentali vengono ignorati», ha scritto, accusando esplicitamente le autorità del paese di non essere state in grado di garantire una gestione efficace dell’accoglienza, nonostante il sistema sia disponibile, ma inutilizzato. Ha chiesto alla Bosnia-Erzegovina di «assumersi le proprie responsabilità in tale ambito» precisando che in qualità di aspirante membro dell’UE,  dovrebbe applicare i principi minimi del trattamento dignitoso delle persone migranti.

Dal 2018, circa 70 mila migranti hanno attraversato la Bosnia-Erzegovina. Ma pochi sono rimasti nel paese, cercando invece di raggiungere la Francia, l’Italia o la Germania.

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