Virginia Raggi. (Andrea Ronchini/Pacific Press via ZUMA Wire)

Il Messaggero vuole le dimissioni di Virginia Raggi

Un durissimo editoriale del direttore descrive «un fallimento da cui trarre, a questo punto e dopo tanta pazienza, le definitive conclusioni»

Oggi sul Messaggero un editoriale firmato dal direttore, Virman Cusenza, mette in fila una serie di fatti e giudizi severissimi sulle condizioni di Roma, e si conclude chiedendo alla sindaca Virginia Raggi – giunto al terzo anno del suo mandato – di dimettersi. Il Messaggero è uno storico quotidiano nazionale ed è il più venduto e popolare a Roma. «La catastrofe agli occhi di tutti appare ormai inarrestabile», scrive Cusenza, che prosegue raccontando i molti gravi problemi della città, molti dei quali visibili a occhio nudo: i cumuli di rifiuti a ogni angolo della strada, per esempio, e lo stato penoso del trasporto pubblico. «Stiamo parlando di un fallimento da cui trarre, a questo punto e dopo tanta pazienza, le definitive conclusioni», conclude Cusenza. «Bisogna solo, in un sussulto di responsabilità, passare la mano».

Morte di una città. Troppe volte ne abbiamo raccontato la crisi e il declino. Troppe ci siamo fatti interpreti del disagio e dello sconforto dei romani davanti allo sfacelo di tutti i giorni, ma questa volta – a tre anni dall’elezione della Raggi – non basta più: la catastrofe agli occhi di tutti appare ormai inarrestabile. La caduta di Roma la tocchiamo con mano uscendo di casa ogni mattina: ci inghiottono le voragini stradali, montagne di rifiuti ostruiscono spazi pubblici destinati alla vivibilità.

Se si è miracolosamente scampati agli incendi dei bus o alla rovinosa caduta delle scale mobili della metro, è impossibile persino sbarcare nel centro della Capitale – come avviene in qualsiasi metropoli anche meno maestosa di Roma – per le stazioni chiuse. Gli alberi che cadono sulle auto, se non sulla testa dei passanti, sono un altro capitolo dell’insicurezza in cui i cittadini sono stati precipitati. Interi quartieri, spesso il cuore di Roma – ma nelle periferie lo sfascio è identico a dispetto della retorica pre-elettorale che le ha strumentalizzate – sono abbandonati alle loro emergenze inevase. E non parliamo soltanto delle panchine divelte, delle ciclabili interrotte o dei marciapiedi ridotti a trincee di guerra o delle caditoie ostruite che provocano laghi artificiali o paludi. O i rami potati, quelli sbagliati però, perché quelli malati e pericolosi restano incredibilmente intonsi. Tutto questo nel suk irrisolto del commercio straccione tra camion bar di ritorno, ambulanti inamovibili, bancarelle che ostruiscono il passaggio e oscurano le meraviglie di Roma.

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