Gregg Alexander sul palco durante un festival cinematografico a Santa Barbara, in California, nel 2015 (Mark Davis/Getty Images for The Santa Barbara International Film Festival)

Vent’anni di un gran disco pop, e una storia

Il 16 ottobre 1998 uscì l'unico disco dei New Radicals, fece meritatamente il botto in mezzo mondo, e il loro fondatore si spaventò e chiuse la baracca

Vent’anni fa, il 16 ottobre 1998, uscì l’unico disco di una band americana fino ad allora sconosciuta ed estinta poco dopo che si chiamava “New Radicals”: il disco era intitolato Maybe you’ve been brainwashed too (“Forse hanno fatto anche a voi il lavaggio del cervello”) e in meno di un anno vendette un milione di copie negli Stati Uniti e fece con altrettanti successi il giro del mondo in particolare con il singolo “You get what you give”.

Quel disco è memorabile e merita di essere celebrato per i suoi successi di allora, per l’anomala ed effimera storia della band – non catalogabile come “one hit wonder“, per la carriera del suo leader – e per la qualità non datata delle sue composizioni pop-rock. Gregg Alexander, che allora aveva 28 anni, aveva fatto due dischi da solo senza che se ne accorgessero in molti: era figlio di Testimoni di Geova del Michigan, aveva imparato a suonare molti strumenti da bambino, aveva suonato per strada. Nel 1998 mise su questa band, insieme a Danielle Brisebois – ex attrice bambina, musicista eclettica anche lei, sua collaboratrice prima di allora e ancora oggi – e a un po’ di musicisti arruolati per registrare il disco e riprovarci – dopo aver mandato la cassetta demo a un grosso produttore – non con grandi aspettative. Il disco fece il botto in mezzo mondo, appunto, a forza del suo singolo (“vorrei averlo scritto io”, disse a un certo punto The Edge degli U2) e di una gragnuola di canzoni pop appiccicosissime, ma con un buon carico di chitarre e arrangiamenti rock.

«Camminavo sul Sunset Boulevard poco dopo che il disco era uscito e sentii la canzone uscire da una macchina, e la prima cosa che pensai fu “Oddio, qualcuno si è fregato la mia demo”: davvero. E poi un minuto dopo la sentii di nuovo da un’altra macchina e mi dissi, tipo, “Come hanno fatto a ottenere tutti la mia demo?”»

Passò appena un anno e Gregg Alexander sciolse la band. Non era soddisfatto, disse, non gli piaceva esporsi nello show business e poi “ormai ho quasi trent’anni: passare il mio tempo sui pullman e dormire tre ore per notte ogni volta in un albergo diverso non fa per me”. Anni dopo spiegò che tutto lo star system non faceva per lui e implicava sciocchezze e degradazioni insopportabili, citando come esempio le battute che si è costretti a registrare in radio: “Ciao, sono Gregg Alexander del New Radicals e anch’io ascolto Radio Tal dei Tali”. E così sbaraccò e si mise a scrivere canzoni pop da classifica (per Santana, Rod Stewart, Geri Halliwell, Enrique Iglesias, Sophie Ellis-Baxtor, Ronan Keating): spesso con pseudonimi (“per non rubare la scena alla canzone”), diventando richiestissimo e ottenendo sia un premio Grammy che una nomination all’Oscar, per “Lost stars” dal film Tutto può cambiare. In un’intervista di due anni fa gli hanno chiesto se a 45 anni non ci ripensi mai, ad avere smontato tutto troppo presto:

«Col senno di poi, avrei potuto e dovuto battere il ferro finché era caldo e spingere più possibile. Ma a 28 anni la mia vita era solo fare musica, e all’improvviso stava diventando un ingranaggio della macchina e di cose all’opposto della creatività»

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