L'incipit di "La vita: istruzioni per l’uso" di Georges Perec

26 incipit per un nuovo inizio

Quello della Scuola annuale di scrittura Belleville: inizia il 5 novembre e c'è ancora qualche posto

Il 5 novembre inizia la Scuola annuale di scrittura Belleville. Per inaugurare l’anno scolastico 2018/2019 e dare un’anteprima delle lezioni, giovedì 11 ottobre alle 16.30, in via Poerio 29, il direttore Giacomo Papi terrà una lezione sui modi per incominciare un romanzo. I posti sono limitati, quindi occorre prenotarsi scrivendo un’email a info@bellevillelascuola.com.

A seguire, dalle 19.00, ci sarà la presentazione del romanzo Se mi guardo da fuori di Teresa Righetti, ex allieva della Scuola annuale.

La Scuola annuale di scrittura Belleville è suddivisa in due quadrimestri, il primo più teorico e il secondo progettuale, per un totale di 300 ore di lezione, che hanno cadenza giornaliera e durano fino a giugno. Al corso annuale insegnano, tra gli altri, Walter Siti, Laura Pariani, Sandrone Dazieri, Francesca Serafini e Bianca Pitzorno. Per iscriversi c’è tempo fino al 20 ottobre, ma sono in corso i colloqui e i posti disponibili sono limitati.

L’immagine rimanda alla pagina dell’evento su Facebook (Belleville)

Per cominciare
In attesa della prima lezione, un breve racconto composto soltanto di inizi di romanzi famosi
di Giacomo Papi

Da dove comincio? [1] Potrei cominciare dal mio nome, ma lasciamo perdere, perché sprecare tempo? È un particolare senza importanza in questa città di dodici milioni di nomi. [2] Le otto di sera. Per milioni di persone, ognuno nel suo abitacolo, nel piccolo mondo che si è creato o subisce, una giornata ben determinata volge al termine, fredda e nebbiosa, quella di mercoledì 3 febbraio. [3]

Sì, tutto potrebbe iniziare così, qui, in questo modo, una maniera un po’ pesante e un po’ lenta, nel luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno, dove la gente s’incontra quasi senza vedersi, in cui la vita dell’edificio si ripercuote, lontana e regolare. [4] Un edificio grigio e pesante di soli trentaquattro piani. [5]

È cominciato così. Io, io non avevo proprio detto nulla. Nulla. È stato Arthur Ganate a farmi parlare. [6] Era un paio di centimetri o tre sotto il metro e ottanta, molto robusto di corporatura, e vi arrivava dritto incontro a testa avanti, rientrando un poco le spalle, con uno sguardo fisso da sotto in su che faceva pensare alla carica di un toro. [7] Gli ho detto: «Dimmi la verità», e ha detto: «quale verità», e disegnava in fretta qualcosa nel suo taccuino e m’ha mostrato cos’era, era un treno lungo lungo con una grossa nuvola di fumo nero e lui che si sporgeva dal finestrino e salutava col fazzoletto. Gli ho sparato negli occhi. [8] Era l’ultima lite, almeno questo era chiaro. [9]

Era morto e stecchito, quell’uomo. Giaceva sul pavimento, in pigiama, il cervello spappolato sul tappeto, e stringeva in mano la rivoltella. [10] Se avete sparato a un uomo, e l’avete ammazzato, avete in certa misura chiarito il vostro atteggiamento verso di lui. Avete dato una risposta definita a un problema definito. Nel bene e nel male, avete agito in maniera decisiva. In un certo senso, la mossa successiva sta a lui. [11]

Il venerdì 13 ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Margherita. [12] Un giorno, inquadrati per tre con le scarpe lucide, come se fosse un normale servizio, una corvée, ci portarono al castello di Oria. [13] Ci trasferirono di notte. [14] La divisa dei forzati è a righe bianche e rosa. Se per comando del cuore, ho scelto l’universo in cui mi compiaccio, ho almeno il potere di scoprirvi i numerosi significati che voglio: esiste dunque uno stretto rapporto tra i fiori e i forzati. La fragilità e la delicatezza dei primi sono della stessa natura che la brutale insensibilità degli altri. [15]

Signor giudice, vorrei tanto che un uomo, un uomo solo, mi capisse. E desidererei che quell’uomo fosse lei. [16] Condannato a morte! Sono cinque settimane che abito con questo pensiero, sempre solo con lui, sempre agghiacciato dalla sua presenza, sempre curvo sotto il suo peso! [17] Ero spossato, spossato a morte da quella lunga agonia, e, quando, finalmente, mi slegarono e mi fu permesso di sedere, sentii che i sensi mi abbandonavano. La sentenza, l’orribile sentenza di morte, fu l’ultima frase che mi giunse distintamente all’orecchio. [18] Comunque, fra poco sarò morto del tutto, finalmente. [19] «Uuuuhhh! Guardatemi, sto morendo». [20]

È ormai tempo che mi dedichi al mio problema. [21] Mi chiamo Jared e sono un fantasma. [22] Sono morto da più di vent’anni, ma ancora non so staccarmi dalla città. [23] Abito a Villa Borghese. Non un granello di polvere, non una sedia fuori posto. Siamo soli e siamo morti. [24]

C’erano una volta alcuni morti che sedevano insieme, nell’oscurità: dove, non sapevano – forse, in nessun luogo. Ma sedendo, discorrevano per far sì che l’eternità trascorresse. [25] Il sole splendeva, senza possibilità di alternative, sul niente di nuovo. [26]

 

NOTE
[1] James G. Ballard, Un gioco da bambini

[2] Raj Kamal Jha, La coperta azzurra

[3] Georges Simenon, L’ottavo giorno
[4] Georges Perec, La vita: istruzioni per l’uso

[5] Aldous Huxley, Il mondo nuovo

[6] Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte

[7] Joseph Conrad, Lord Jim

[8] Natalia Ginzburg, È stato così
[9] Jonathan Coe, La casa del sonno

[10] Mickey Spillane, La vendetta è mia

[11] Raphael A. Lafferty, Golden gate

[12] Silvio Pellico, Le mie prigioni

[13] Luciano Bianciardi, Natale con il miele

[14] José Maria Arguedas, Il Sexto

[15] Jean Genet, Diario del ladro

[16] Georges Simenon, Lettera al mio giudice

[17] Victor Hugo, Gli ultimi giorni di un condannato a morte

[18] Edgar Allan Poe, Il pozzo e il pendolo

[19] Samuel Beckett, Malone muore

[20] Michail Bulgakov, Cuore di cane

[21] Ernst Jünger, Il problema di Aladino

[22] Douglas Coupland, La fidanzata in coma

[23] Roberto Pazzi, Le città del dottor Malaguti

[24] Henry Miller, Il Tropico del Cancro

[25] Pär Lagerkvist, Il sorriso eterno

[26] Samuel Beckett, Murphy

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