I 20 dischi migliori del 2017

Abbiamo raccolto quelli che sono piaciuti di più ai critici, che sono d'accordissimo almeno su un paio

Abbiamo preso le liste dei migliori dischi del 2017 di alcuni importanti siti, di musica e non, e abbiamo fatto una media per trovare i venti dischi più citati: per farsi un’idea di cosa sia il meglio del meglio delle cose uscite quest’anno secondo la critica musicale. Abbiamo scelto di considerare le liste di Noisey, Pitchfork, GuardianCrack Magazine: un po’ per bilanciare la distribuzione geografica degli artisti scelti, visto che sono due siti americani e due inglesi, e un po’ perché non sono – perlomeno non spudoratamente – troppo orientati verso un genere in particolare.

La prima differenza con la lista che avevamo ricavato l’anno scorso è che c’è meno hip hop e c’è più musica elettronica. Ci sono poi un paio di grandi ritorni, tre-quattro dischi che arrivano dall’establishement dell’industria discografica, ma anche tutta una serie di nomi freschi e che saranno sconosciuti a molti, di artisti giovani o comunque da poco nel campionato dei nomi grossi.

Damn., Kendrick Lamar

Devono succedere ancora molte cose prima che un nuovo disco del rapper americano Kendrick Lamar, considerato il migliore della sua generazione, non finisca tra le primissime scelte di praticamente tutti i siti di musica. È il migliore dell’anno secondo Pitchfork NPR, il secondo per Noisey Guardian, il sesto per Crack. Dopo To Pimp a Butterfly del 2015, che aveva avuto uno straordinario successo di critica, Lamar ha fatto un disco molto diverso: come ha scritto Noisey, «offre quello che molti ritenevano mancasse in To Pimp a Butterfly: l’accessibilità. Un disco pieno di jazz che si propone di fare da spalla per la generazione che ha bisogno di aiuto può essere d’aiuto, alle volte. Ma Damn. è pieno di canzoni per caricarsi, che colpiscono senza dover andare troppo in profondità».

In realtà l’accessibilità è più nella musica – relativamente vecchia scuola, e più immediata rispetto a TPAB – che nei testi, che sono rimasti pieni di livelli di lettura: ma al centro c’è meno la condizione degli afroamericani negli Stati Uniti d’oggi, e più quella di Kendrick Lamar stesso. Secondo NPR, è un disco che non ha «la miscellanea musicale del precedente, ma suona più limpido e centrato».

Masseduction, St. Vincent

St. Vincent è Annie Clark, 35enne americana ormai da una decina d’anni considerata tra le più complete e originali musiciste in circolazione. Il Guardian ha scelto Masseduction come disco dell’anno scrivendo che è «spettacolare: pieno di momenti emozionanti e scelte sonore bizzarre e appaganti. (…) Strano, nuovo e innegabilmente commovente». Secondo Noisey, è il disco che dimostra che in St. Vincent convive, insieme alla già nota e apprezzata vena virtuosa e chitarristica, una sensibilità da “pop da stadio”.

Aromanticism, Moses Sumney

Moses Sumney ha 27 anni, è di Los Angeles e la sua musica coincide in larga parte con la sua voce, e in particolare con il suo falsetto. Lo accompagna con basi avvolgenti di chitarre arpeggiate. Secondo il Guardian ha qualcosa di Jeff Buckley, ed è d’accordo anche Pitchfork, che ci ha aggiunto D’Angelo e Frank Ocean. È un disco «caldo, profondo e misterioso», come lo ha descritto NPR, ed è uno dei più “outsider” di questa lista.

4:44, Jay-Z

4:44 è, secondo Pitchfork, il primo disco in cui Jay-Z «non sta sbandierando grandezza, ma si concede di essere piccolo». Se ne è parlato soprattutto per i testi molto ricchi di questioni sociali, di sassolini tolti dalle scarpe nei confronti di Kanye West e di scuse personali, ancora per quella storia del tradimento che sua moglie Beyoncé aveva denunciato in Lemonade. C’è anche una canzone, “Smile”, in cui sua madre Gloria Carter fa coming out. «Incredibilmente auto-dissacrante e onesto, 4:44 è la riuscita ammissione di una sconfitta, dall’unico rapper che avrebbe mai potuto scalzare Jay-Z dal suo trespolo dorato», ha scritto Pitchfork.

More Life, Drake

Drake è «Too big to fail», secondo Noisey, che ha anche scritto che con il disco More Life (che in realtà dovrebbe essere una playlist, e non un album) il rapper canadese è riuscito a liberarsi dalle aspettative degli altri e «a provare nuovi suoni come fossero vestiti per il ballo di fine anno». Secondo Crack ha fatto anche qualcosa in più, perché è riuscito a creare «un’entità davvero digitale, post-generi, nella quale si è posizionato in maniera convincente come architetto di un’era di pop senza confini». E poi contiene una delle due-tre canzoni dell’anno, “Passionfruit”.

Slowdive, Slowdive

Gli Slowdive sono una storica band rock inglese, attiva negli anni Novanta e che non faceva un disco dal 1995: c’erano quindi molte curiosità e qualche scetticismo sul loro ritorno, ma come ha scritto il Guardian la band faceva shoegaze – cioè quel genere di rock fatto di chitarre ostinate e atmosfere “sognanti” – quando non andava per niente di moda, mentre ora sta passando un momento di relativa popolarità, anche se un po’ calante. «È un inatteso balsamo ed epifania contro il caos, un disco così bello che ti permette di dimenticare il rumore là fuori e di farti perdere al suo interno», dice Noisey.

Arca, Arca

Arca è il nome d’arte di Alejandro Ghersi, produttore venezuelano che in molti conoscono perché lavora con gente come Björk, FKA Twigs e Kanye West. È uno che, come ha scritto Crack, «con le sue sonorità senza genere e sfuggevoli ha dato una scossa necessaria, in un momento in cui le conversazioni sulla musica elettronica erano piene di preoccupazioni riguardo a una percepita carenza di nuove idee». Proprio Crack ha scelto Arca come disco dell’anno, spiegando che «non suona come niente che sia mai stato fatto prima», ma che a differenza del resto della musica d’avanguardia e sperimentale, non è un album «troppo astruso», e racconta una storia di trasformazione che è personale, di Ghersi, ma che suona universale.

Ctrl, SZA

SZA (si legge sìza) ha 27 anni e arriva dal Missouri. Ctrl (si legge control) è il suo primo vero disco, che arriva dopo tre EP, e tra le collaborazioni ci sono anche Kendrick Lamar e Travis Scott. Non è però un disco rap: SZA ha una voce incredibile, e secondo Noisey ha una capacità straordinaria di raccontare la sua vulnerabilità, sentimentale e sessuale, in un modo che, dice Pitchfork, «fa sentire migliaia di ascoltatori considerati, capiti, e meno soli». NPR ha scritto che è il miglior disco R&B in un anno in cui «il genere ha superato tutti gli altri per inventiva e classe». È finito al primo posto della lista di Noisey, al secondo di quella di PitchforkNPR, al terzo in quella del Guardian e al quarto in quella di Crack.

Melodrama, Lorde

Per le particolari caratteristiche della 21enne neozelandese Lorde, Melodrama era uno degli album più attesi dell’anno: lei è una delle più grandi popstar degli ultimi anni, ma è molto più apprezzata dalla critica di gente come Ed Sheeran o Taylor Swift, perché gioca in un altro campionato per quanto riguarda la raffinatezza della sua musica. Il suo grande successo e la sua giovane età avevano fatto preoccupare qualcuno che potesse essersi montata la testa: è tutto il contrario, secondo il Guardian. Il disco parla di diventare adulti, di una relazione che finisce, il tutto con un’autenticità non scontata secondo Noisey. Dentro c’è “Green Light”, una delle canzoni più di successo dell’anno.

Flower Boy, Tyler, the Creator 

Tyler, the Creator è uno dei più apprezzati rapper del mondo da cinque o sei anni, cioè da quando il suo collettivo hip hop degli Odd Future cominciò a guadagnare popolarità anche fuori da Los Angeles. La sua carriera solista era decollata soprattutto con Cherry Bomb, il suo terzo disco, uscito nel 2015: ma secondo i critici con Flower Boy ha fatto ancora di meglio. Secondo Pitchfork, quello che è cambiato è che se prima si mascherava dietro un il personaggio di quello aggressivo a cui non frega niente degli altri, in questo disco ha raccontato tutte le sue debolezze, «su uno sfondo musicale che potrebbe piacere a Stevie Wonder».

Big Fish Theory, Vince Staples

Vince Staples ha 24 anni, e anche lui per un po’ è stato del giro degli Odd Future. È uno che piace molto e che ha saputo guadagnarsi un’ammirazione trasversale anche con una presenza su internet intelligente, e posizionandosi da subito come rapper anti-Trump. Il suo ultimo disco non è molto facile da ascoltare, e mischia rap vecchia scuola con basi molto elettroniche, abbastanza in controtendenza con le attuali tendenze dell’hip hop. I critici hanno apprezzato molto la sua capacità di cambiare e fare una cosa nuova rispetto ai suoi dischi precedenti, e i suoi testi consapevoli, che secondo Pitchfork «condensano acute riflessioni sociali a rivelazioni personali».

Take Me Apart, Kelela

È poco che si parla di Kelela, nonostante abbia 34 anni: ha iniziato a fare parlare di sé un paio di anni fa, dopo un inizio di carriera passato tra concerti in locali di jazz e band progressive metal.«Kelela non avrebbe fatto un disco di debutto finché non sarebbe stata pronta, cazzo», ha scritto Noisey.  Dopo essersi ritagliata una nicchia con un mixtape R&B, quindi, si è messa a fare pop: e lo fa benissimo. Pitchfork dice che «offre produzioni moderne, anche se non appariscenti, e dei testi emotivamente complessi», e che il singolo“LMK” sembra «di un universo radiofonico parallelo, meno disfunzionale».

american dream, LCD Soundsystem

Nel 2011 era sembrato che gli LCD Soundsystem, una delle più importanti e seguite band di rock elettronico degli ultimi dieci anni, si fossero sciolti. Poi sono tornati insieme, quest’anno hanno fatto uscire il loro primo disco in sei anni, e come ha sintetizzato il Guardian, «nonostante i suoi intenti dichiarati, non ha raccontato tanto lo stato di una nazione quanto quale posto abbia al suo interno James Murphy [il leader della band, ndr], il tipico figo di mezz’età in una band figa di mezz’età, che si lamenta delle sue relazioni e dei suoi eroi, dell’amore e dell’invecchiare. È squisito». Secondo Crack è il nuovo capitolo di una delle «soap opera più coinvolgenti della storia della musica moderna. Per i fan di tutto il mondo, il fatto che la band abbia interpretato questo ritorno con un cuore aperto e la solita energia è stata una delle grandi vittorie musicali del 2017».

The Ooz, King Krule

A 23 anni, Archy Marshall è già uno dei musicisti più rispettati e originali della musica inglese: secondo il Guardian ci sono «pochi artisti contemporanei che suonino così tanto come sanno fare loro soltanto». Questo è il secondo disco che pubblica con il nome di King Krule, mentre ne è uscito anche uno con il suo vero nome. La musica che fa è diversa da quella che fa chiunque l’altro: c’è punk arrabbiatissimo, schitarrate noise, sonorità jazz, linee vocali quasi rap con un timbro baritonale estremamente riconoscibile. Noisey ha scritto: «Marshall evidentemente odia l’etichetta di “voce di una generazione che gli è stata assegnata (…) Ma la sua imperturbabile attenzione per il realismo fisico, per i pensieri tetri e il surrealismo sonoro lo distingue come qualcosa di speciale. Che gli importi o no è un altro discorso».

Process, Sampha

Sampha Sisay ha 29 anni ed è inglese, e ha un passato di collaborazioni importanti con alcuni dei nomi più importanti dell’R&B, dell’hip hop e del pop internazionale, da Kanye West a Drake a Frank Ocean a Solange Knowles. Process è il suo primo disco, fatto soprattutto di ballad di pianoforte con sonorità elettroniche e moderne, con la sua voce sempre al centro, che come ha scritto Noisey racconta «un’epica intima dei peggiori minuti, ore, giorni e anni della sua vita».

Black Origami, JLin

Jerrilynn Patton è una produttrice afroamericana dell’Indiana, e Black Origami è il suo secondo disco, dopo Dark Energy del 2015. È il disco di elettronica più premiato dalle liste di quest’anno, e Pitchfork dice che «unisce le marching band americane ai piatti techno, i tamburi indiani accarezzano ritmi balbettanti, e i rulli di bongo galleggiano su botte di bassi elettronici». Se vi state immaginando un ascolto leggero comunque vi sbagliate.

A Deeper Understanding, The War on Drugs

È l’unico disco di rock tradizionale a essere finito ai primi posti della maggior parte delle liste di fine anno dei siti di musica. I War on Drugs sono una band americana diventata famosa tre anni fa con il disco Lost in a Dream, ma per il loro nuovo disco hanno aggiunto più tastiere ai tappeti di chitarre ossessive e delicate e arpeggiate che distinguono il loro suono. Come ha scritto Pitchfork, è un disco che «isola l’ascoltatore dalla politica, dalle storie e dalle mode del 2017, permettendoci di pensare agli affari nostri in santa pace. È un suono monolitico e non autoreferenziale, ed emana l’essenza pura del pop nella sua forma più inclusiva».

Common Sense, J Hus

Il 22enne J Hus è un rapper londinese che fino al 2016 conoscevano in pochi, ma che con il suo disco Common Sense ha fatto parlare moltissimo di sé, all’improvviso: una cosa che capita con una certa periodicità nell’hip hop. Crack ha scritto che è un «cocktail di riferimenti alla sua città natale, East London – il luogo dove è nato il grime – mischiati alle sue radici nell’Africa occidentale, nel road rap britannico, nella dancehall, nell’hip hop e in molto altri. Senza dubbio il disco ha il merito di aver portato l’Afrowave al mainstream».

Plunge, Fever Ray

Fever Ray è Karin Elisabeth Dreijer, cioè la donna dello storico duo di musica elettronica svedese dei The Knife, che si è sciolto nel 2014 e nel quale c’era anche suo fratello. Aveva già fatto un disco da solista nel 2009, ma Plunge è il primo della sua nuova carriera. Come ha scritto Crack, «femminismo e teoria queer sono sempre state le basi filosofiche di molto del lavoro di Dreijer, sia come Fever Ray sia nei The Knife», e in Plunge sono affrontate con testi che si riferiscono soprattutto alla sua sessualità. «È un disco pop e indefinibile, che gioca con gusto (…) e che raggiunge l’apice nel singolo più divertente di Fever Ray, per distacco: “To the Moon and Back”.

No Shape, Perfume Genius

Perfume Genius si chiama in realtà Mike Hadreas, ed è un cantante di Seattle di origini greche che fa un pop barocco, esagerato e arzigogolato, in un modo originale e scenografico che gli ha assicurato riconoscimenti già dal suo disco precedente, Too Bright. «No Shape si crogiola nella decadenza, quel bastione dell’estetica queer: la voce e il pianoforte di Hadreas sono completati dagli archi, dalle chitarre morbide e dai sintetizzatori seducenti», scrive NPR. 

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