Scambiarsi biglietti di auguri non va più molto di moda, ma c’è stato un tempo in cui erano un pensiero atteso, soprattutto per il giorno di San Valentino, per Natale e l’Anno nuovo. I primi biglietti d’auguri conosciuti in Europa risalgono al Quattrocento, erano fatti a mano, a volte intagliati, e costosissimi; divennero accessibili alla borghesia medio-alta a metà Ottocento, grazie all’industrializzazione, a una carta più economica e allo sviluppo delle poste. I biglietti d’auguri erano di moda soprattutto nell’epoca Vittoriana, durante il regno della regina Vittoria sull’Impero britannico (1837–1901): fu lei la prima a ordinare biglietti natalizi ufficiali della famiglia reale, con sopra un ritratto in posa o un momento dell’anno particolarmente importante.
Pare che il primo a spedire dei biglietti di auguri fu il designer inglese (art manifacturer, si chiamava lui) Henry Cole, che nel 1843 incaricò l’artista John Calcott Horsley di disegnare un bigliettino da inviare a parenti e amici. Cole fu anche il primo direttore del Victoria & Albert Museum di Londra, che conserva una collezione di oltre 30 mila biglietti natalizi. Qualche decennio dopo ne iniziò la produzione in massa. Raffiguravano scene religiose con angeli e frasi devote, ma molto più spesso erano auguri di più pratica gioia, ricchezza e benessere, con paesaggi invernali, mazzi di fiori e frutta, vari animali e molti pettirossi. L’uccellino divenne simbolo delle feste perché all’epoca i postini – attesissimi: portavano notizie e auguri di amici e parenti lontani – indossavano una giacca rossa; un artista ne dipinse uno su un biglietto di auguri come fosse un pettirosso con una lettera nel becco, e da lì iniziò la loro fortuna. Poi ci sono anche farfalle notturne e Babbi Natale inquietanti che fanno venire voglia di scambiarsi gli auguri a voce, o non scambiarseli affatto.