Ieri il New York Times Magazine ha pubblicato un articolo molto lungo e completo intitolato «Perché un dottorando italiano è stato torturato e ucciso in Egitto?», che ricostruisce quello che si sa della morte di Giulio Regeni, il 28enne italiano ucciso al Cairo all’inizio del 2016 in circostanze ancora poco chiare. L’articolo è stato scritto da Declan Walsh, corrispondente del New York Times al Cairo, ed è stato molto ripreso dalla stampa italiana per un passaggio che si riferisce a un episodio successo qualche settimana dopo il ritrovamento del corpo di Regeni, il 3 febbraio. Già allora molti avevano cominciato a sostenere che nell’omicidio fosse in qualche modo coinvolto il governo egiziano, che fin dal principio aveva ostacolato e depistato le indagini delle autorità italiane. La cosa nuova che ha scritto Walsh nel suo articolo è che a un certo punto l’intelligence statunitense passò al governo italiano alcune informazioni che dimostravano il coinvolgimento di funzionari dei servizi di sicurezza egiziani nel sequestro e nell’uccisione di Regeni:
«La rabbia di Renzi non era basata solo su un vago sospetto. Nelle settimane dopo la morte di Regeni, gli Stati Uniti ottennero informazioni d’intelligence esplosive dall’Egitto: le prove che la sicurezza egiziana aveva sequestrato, torturato e ucciso Regeni. “Avevamo prove incontrovertibili della responsabilità di funzionari egiziani”, mi ha detto un funzionario dell’amministrazione Obama, uno dei tre ex funzionari che hanno confermato questa informazione. “Non c’erano dubbi”. Su raccomandazione del dipartimento di Stato e della Casa Bianca, gli Stati Uniti passarono questa conclusione al governo Renzi. Ma per evitare di identificare la fonte, gli americani non condivisero l’informazione originale: non dissero quale agenzia della sicurezza egiziana credevano ci fosse dietro la morte di Regeni. “Non era chiaro chi aveva dato l’ordine di sequestrarlo e, probabilmente, ucciderlo”, mi ha detto un altro ex funzionario.
Quello che gli americani sapevano per certo, e lo dissero agli italiani, era che la leadership egiziana era pienamente consapevole delle circostanze della morte di Regeni. “Non avevano dubbi che questo fosse noto agli alti vertici”, ha detto l’altro funzionario. “Non so se fossero responsabili. Ma lo sapevano. Loro lo sapevano”.»
Le parole di Walsh sono state riprese da molti per criticare il governo italiano, che proprio ieri ha annunciato la decisione di mandare al Cairo l’ambasciatore Giampaolo Cantini. L’Italia aveva richiamato il suo ultimo ambasciatore in Egitto, Maurizio Massari, un anno e quattro mesi fa, come ritorsione per la scarsa collaborazione delle autorità egiziane nelle indagini sull’uccisione di Regeni. I critici del governo, tra cui la famiglia di Regeni, hanno definito l’invio di un nuovo ambasciatore una “resa” dell’Italia nei confronti dell’Egitto.
Ci sono alcune cose da specificare, però, in quello che dice e non dice Walsh. Non dice quando esattamente queste prove furono passate dall’intelligence statunitense al governo italiano, e quindi non è possibile individuare con precisione a che punto erano le indagini e quali fossero le informazioni che l’Italia già possedeva in quel momento. L’ipotesi del coinvolgimento di qualche apparato di sicurezza egiziano nell’uccisione di Regeni non era una cosa nuova: se ne parlò fin da subito – anche visti i precedenti del governo egiziano nel reprimere il dissenso interno e visti i molti sequestri e uccisioni di coloro che venivano considerati una minaccia al regime – e diverse inchieste giornalistiche, tra cui una molto solida di Reuters pubblicata il 21 aprile 2016, rafforzarono questi sospetti. Mesi dopo, nel settembre 2016, gli stessi investigatori egiziani ammisero per la prima volta che Regeni era stato indagato dalla polizia egiziana, un’informazione fino a quel momento sempre smentita dall’Egitto.
Per capire quanto fossero “esplosive” le informazioni trasmesse dagli Stati Uniti all’Italia, bisognerebbe poi sapere qualcosa di più sul loro contenuto, che però Walsh non specifica. Repubblica ha scritto che alcune fonti della presidenza del Consiglio hanno detto che «nei contatti tra amministrazione USA e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all’omicidio di Regeni non furono mai trasmessi elementi di fatto, come ricorda tra l’altro lo stesso giornalista del New York Times, né tantomeno “prove esplosive”». In realtà non è chiaro se siano stati o meno trasmessi “elementi di fatto”: dalla ricostruzione di Walsh sappiamo però che gli Stati Uniti non condivisero tutte le informazioni in loro possesso, per evitare di bruciare la loro fonte.
Gli americani, in pratica, non dissero agli italiani chi fosse il responsabile dell’uccisione di Regeni – quale agenzia o servizio di sicurezza – ma portarono altre prove, e non sappiamo quali – per dimostrare il coinvolgimento del governo egiziano. È difficile valutare più chiaramente questo intero passaggio dell’articolo di Walsh senza maggiori informazioni.
L’impressione è che il governo italiano sia convinto da tempo del coinvolgimento del governo egiziano nell’uccisione di Regeni e nei successivi depistaggi, anche perché le versioni dell’Egitto sull’accaduto sono state smontate tutte, una dopo l’altra; nonostante questo, l’Italia ha continuato a mantenere stretti contatti con il governo egiziano e, secondo quanto riportato dalla Stampa ieri, stava lavorando alla nomina di un nuovo ambasciatore da mesi, per ragioni di opportunità politica. Rimane il problema di capire chi effettivamente abbia ucciso Regeni e quanto il governo e il presidente egiziano sapessero dell’intera operazione.
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