Da qualche settimana due dei musicisti rock più famosi al mondo si stanno scambiando accuse reciproche riguardo l’opportunità di tenere concerti in Israele, un paese che sempre più spesso i suoi critici paragonano al Sudafrica dei tempi dell’apartheid per il suo trattamento dei palestinesi. Gli artisti in questione sono l’ex bassista dei Pink Floyd Roger Waters e il cantante dei Radiohead Thom Yorke. Tutto è iniziato in aprile, quando una cinquantina di artisti – fra cui Waters – firmarono una petizione per chiedere ai Radiohead di cancellare il loro concerto previsto a Tel Aviv per il 19 luglio, domani. Il 2 giugno, Yorke risposto alla petizione spiegando su Rolling Stone che non avrebbe cambiato idea, e per quali motivi. Ora Waters è tornato sulla polemica: due giorni fa, durante un’intervista data alla pagina Facebook del movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), la principale campagna globale per il boicottaggio di Israele, ha detto che Yorke sta “piagnucolando” e che il suo atteggiamento “non aiuta nessuno”.
Israele ha una lunga storia di artisti che hanno scelto di non suonarci o che sono stati convinti a non farlo da una petizione o una campagna per il boicottaggio. La lista si è allungata dopo il 2010, più o meno da quando Benjamin Netanhyahu e la sua coalizione di destra sono tornati al governo. Le ragioni del boicottaggio sono sintetizzate bene in una lettera aperta che diversi musicisti israeliani hanno inviato a Yorke il 29 giugno:
«Ogni artista internazionale che suona in Israele diventa uno strumento di propaganda per il governo israeliano, che usa questi concerti per coprire i suoi crimini di guerra contro i palestinesi, portando avanti un’atmosfera di “normalità” quando in realtà la colonizzazione e l’occupazione militare nei confronti dei palestinesi viene normalizzata»
Nel caso specifico dei Radiohead, sono in molti ad avergli chiesto di non suonare, da Waters e il BDS passando per un gruppo di attivisti e studenti palestinesi – che ha pubblicato un’altra lettera aperta, stavolta sul Guardian – fino al celebre regista britannico Ken Loach, che sull’Independent si è lamentato del fatto che i Radiohead non abbiano mai risposto alla sua offerta di discutere del concerto insieme a lui e a un gruppo di artisti palestinesi.
Gli artisti che come i Radiohead invece scelgono di suonare in Israele – così come gli accademici stranieri che vengono chiamati per insegnare – solitamente spiegano che un isolamento culturale contribuirebbe a peggiorare la situazione, e che non danneggerebbe il governo ma solo i cittadini israeliani. Anche Yorke ha usato questi argomenti quando qualche giorno fa ha risposto proprio a Ken Loach. Yorke ha scritto:
«Suonare in un paese non vuol dire appoggiare il suo governo. […] Non ci piace Netanyahu più di quanto ci piaccia Trump: eppure suoniamo lo stesso negli Stati Uniti […] La musica, l’arte e la ricerca universitaria attraversano le frontiere e non le costruiscono, aprono le menti e non le chiudono»
Altri musicisti ancora hanno solidarizzato con Yorke: ad esempio Michael Stipe dei R.E.M., che su Instagram ha scritto:
«Sto coi Radiohead e la loro decisione di esibirsi. Speriamo che prosegua il dialogo per cessare l’occupazione e arrivare a una soluzione pacifica»
Il concerto dei Radiohead si terrà allo Yarkon Park, il parco pubblico più grande di Tel Aviv: sono previste migliaia di spettatori. Il biglietto unico per il concerto costa 484 shekel, cioè circa 117 euro.
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