Ettore Scola nel maggio 2012. (ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)

“Ciao Ettore”

Il racconto di Paolo Virzì ai funerali di Ettore Scola, che si sono tenuti oggi a Roma

Uffici della Mass Film a via Bertoloni – interno giorno

Nell’appartamentone dalle finiture austere, in una delle numerose stanze coi soffitti alti che si aprono su un lato del lungo corridoio, ė in corso una riunione. C’è un famoso sceneggiatore seduto al grande tavolo, con la macchina per scrivere Olivetti 32 in mezzo a pile di scartafacci, che parla con grande fervore, ad alta voce come in un litigio, rivolto al famoso regista: il quale ascolta con le mani in tasca, in piedi, le spalle appoggiate alla parete accanto a tazebao fitti di scalette e disegnetti, con un’aria che potrebbe essere corrucciata, o esausta, in certi momenti guardando il soffitto malinconicamente, ed ogni tanto provando ad intervenire, ad insinuarsi in quel torrente di parole. Ma è inutile, l’altro non lo lascia parlare. Così ad un certo punto alza la voce anche lui, prova a a sovrastarlo:
– Ho capito, Furio, questa cosa l’hai detta otto volte, adesso mi fai di’ una cosetta anche a me?

Intanto, seduto su una poltrona accanto alla finestra, da dove giunge una luce scialba da pianterreno, si segnala la presenza di un altro sceneggiatore, illustre anche lui, anche se silenzioso e dall’aria distante. Fuma certe lunghe sottilissime sigarette una dietro l’altra e sembra concentrato nell’esercizio meticoloso di far cadere la cenere il più tardi possibile, ovvero soltanto quando si sono formati certi sottili, tortuosi, tremolanti cilindri, che poi vengono allineati sul portacenere con metodica lentissima ossessione, uno accanto all’altro, fino a formare una specie di scultura. Anche lui, insomma, sta “creando”.

Il tema della riunione è un film del quale sono appena finite le riprese, ma anche il soggetto di un altro film da fare, o meglio tutte le due cose insieme, sovrapposte ed intrecciate. Ogni tanto suona il telefono e lo sceneggiatore più facondo è costretto ad interrompersi, imprecando:
– Stiamo lavorando, ti richiamo, sì, Ettore è qui, te lo passo.
Porge la cornetta al famoso regista, il quale ascolta, sbuffa, pronuncia svogliati monosillabi, poi taglia corto, saluta con un “vabbè”, e butta giù. In quella stanza, lo notiamo solo adesso, c’è anche un ragazzo. Ha 21 anni, ma per via della testa già spelacchiata ne potrebbe dimostrarne tra i trenta e i quaranta. Indossa inoltre una giacchetta principe di Galles da persona anziana, appunto, però dai colori troppo accesi. Dal collo a V del golfino di lana fa capolino anche una cravatta variopinta e lucida, annodata in modo un po’ approssimativo. Risulta evidente che si è sforzato di vestirsi secondo uno stile non suo, che gli dev’esser sembrato elegante, ma il risultato è dimesso e goffo. Se ne sta seduto ad un altro tavolinetto più in disparte, sulle spine, con le gambe che ballano per l’eccitazione, e intanto non si perde una parola, trascrive tutto quello che vien detto. E quando il famoso sceneggiatore ed il famoso regista, accalorandosi, sbattono la mano sul tavolo facendo volar per terra fogli e foglietti, lui subito si precipita a raccoglierli.

Poi la discussione da tumultuosa diventa improvvisamente allegra, lo sceneggiatore chiacchierone e il famoso regista ridono fino alle lacrime di una situazione, di uno scambio di battute, si voltano verso l’altro sceneggiatore illustre che fuma in silenzio, assorbito dalla sua incessante produzione di gomitoli di cenere, e gli chiedono:
– Che dici, Ruggero?
E quello, dopo un lungo momento durante il quale sembra riflettere, socchiude gli occhi, annuisce serissimo e finalmente mormora con un filo di voce, adagio:
– Fa molto ridere.
Poi torna a tacere, a fumare, a creare i suoi labirinti di cenere.
Dissolvenza, poco dopo: la riunione è finita, adesso c’è silenzio nel grande appartamento. Un telefono suona da qualche parte, ma non risponde nessuno.

Nella stanza è rimasto solo il ragazzo, a raccattare tutti i fogli sparsi sul tavolo e a cercare di metterli in ordine. Ma si interrompe, perché si sente guardato da qualcuno.
Sulla porta c’è il famoso regista, col cappotto e la sciarpa, l’aria di chi sta per andarsene.
Il ragazzo gli sorride impacciato, il regista apre bocca per dirgli:
– E te? – sembra essersi accorto soltanto adesso della sua presenza – Chi saresti?
Il ragazzo scandisce il proprio nome e cognome, spiega di essere un allievo del Centro
Sperimentale, e che Scarpelli, il suo insegnante, gli aveva detto di venire a fargli da assistente in una riunione di sceneggiatura, ma adesso è andato a casa a mangiare con Cora e i ragazzi, e gli ha chiesto di aspettarlo lì. E che la sua, stamattina, se gli è permesso di dirlo, è stata un’esperienza pazzesca, perché non pensava che la riunione sarebbe stata addirittura col grande Maccari ed il grandissimo Scola. Lo ha detto tutto d’un fiato, come ad un’interrogazione scolastica.
– Ah. E ti sei reso utile, sì?
– Mah, speriamo. Vado a portare queste pagine da Di Mario, la copisteria, alle tre e un quarto, quando riapre, per farle ribattere.

Il famoso regista lo guarda, non sorride, non dice nulla. Sembra ascoltare qualcosa, un suono misterioso che arriva ad intervalli regolari da un’altra stanza. Gli fa segno di seguirlo, nel lungo corridoio, fino ad un’altra porta che si affaccia su un ambiente più grande in penombra, con le serrande mezzo abbassate. Lì dentro, dietro ad una pesante scrivania, è seduto un altro signore, tarchiato, con gli occhi chiusi. Si dev’essere appisolato mentre stava facendo qualcosa e la sua posizione provvisoria ed il ronfo del suo russare producono un effetto comico, da film con Aldo Fabrizi.
Infatti al regista viene sommessamente da ridere e cerca gli occhi del ragazzo, per misurarne la complicità.
“Commìtteri.” Gli spiega a bassa voce. “L’hai conosciuto?”
Il ragazzo fa segno di no. Il regista sospira, sembra avviarsi, ma poi si ferma sulla soglia della porta:
– E come ci vai da Di Mario?
– Avrei la mia macchina, una 127…
– Carina la 127. Allunghi un po’ e passi da Via Maria Adelaide. Ti va?
– Dio bono!, dice entusiasta il ragazzo.
– La conosci la Cau?
– No.
– Vabbè, la conoscerai.

Escono in quella via dei Parioli, silenziosa a quest’ora e spazzata da un vento autunnale, non passa neanche un’automobile.
– E dov’è che hai parcheggiato?
– Laggiù in fondo, all’angolo con Viale Bruno Buozzi.
– Vabbè, dice di nuovo il regista, stavolta con autentica tristezza, forse pentito di avergli
chiesto un passaggio.
– Sbrighiamoci.
E lo precede in quella direzione, camminando in silenzio, completamente assorbito dai
propri pensieri.
Il ragazzo lo segue, se avesse la coda scodinzolerebbe. Ad un certo punto si fa coraggio e
dice:
– “Dramma della gelosia, cioè, è incredibile! In quella scena dove Adelaide va dallo psicologo della mutua c’è proprio tutto il disagio intimo dei subalterni, che non trovando le parole per dire il loro tormento… voglio dire, quella battuta geniale della Vitti, Può un sistema nervoso essere innamorato egualmente di colui che l’ha corcata di botte? Se uno pensa che poi invece la critica ha parlato di vieto bozzettismo, proprio non hanno capito lo spirito che…”

Ma è inutile proseguire, il regista non sembra ascoltarlo, continua a camminare senza guardarlo, forse non lo ha proprio sentito. Il ragazzo però non demorde e prova a dire a voce più alta:
– “E poi Riusciranno i nostri eroi, forse il mio preferito, sotto la superficie di un film esilarante nasconde tematiche importanti: le smanie esistenziali di un borghese di Roma Nord, la sua infelicità, e poi ovviamente quel riferimento parodistico a Cuore di tenebra di Conrad, che spinge ad un’altra lettura della storia, più misteriosa e anche metaforica…”
Ma s’interrompe di nuovo perché il regista, nel vedere qualcuno che attraversa la strada, si è fermato di colpo e gli mormora:
– “Stai zittino”.

Si nasconde dietro il ragazzo, proprio letteralmente si acquatta facendosi piccino dietro al suo corpo, appiccicato a lui, che adesso può sentirne il profumo, un’acqua di colonia molto aspra, e dall’espressione, oltre che dalla postura sconveniente per un cineasta di quel calibro, si deduce che sia sinceramente preoccupato che quel passante si accorga di lui.
È un signore calvo, corpulento, con gli occhiali, dal passo deciso, chi sarà mai? Quando finalmente si è allontanato, il regista spiega al ragazzo che si tratta di un produttore, ne pronuncia il cognome. Aggiunge:
– Molto stronzo. Lo conosci?
Il ragazzo fa segno di no.
– Non sai un cazzo, dice il regista, ma questa volta sorride, ed in un modo tutto sommato affettuoso.
– In effetti no.
– Meglio così.
Il ragazzo pensa: parla come Gassman. Anzi: come Mastroianni. Anzi no: Gassman e
Mastroianni parlano come lui.

Starebbero per riavviarsi quando proprio in quel momento passa un taxi, il regista sembra destarsi dalla sua malinconia, agita il braccio ed il taxi si ferma.
– Vabbè, sono in ritardo. Tante care cose.
Si china verso lo sportello, ma gli viene in mente qualcosa, si fruga in tasca, chiede al ragazzo:
– Non è che hai qualche mille lire per la corsa, qui? Sono uscito di casa senza niente.
– Certo!
Il ragazzo tira fuori di tasca un biglietto stropicciato da diecimila e glielo porge. E quello:
– Te li ridò, ovvio. Tanto ci rivediamo, no?
– Magari.
– Ciao, Piero. Intanto… ci siamo visti.
– Paolo. Cioè, io mi chiamerei… Paolo.
– Vabbè. Adesso non stiamo a cavillare… Ti starebbe meglio Piero, come nome.
– Eh… – il ragazzo è disorientato, non sa cosa dire – Forse sì.
– Carina anche quella giacchetta, conclude il regista, e chiude lo sportello. Ma si vede che gli viene da ridere, mentre il taxi riparte.

Il ragazzo s’interroga se gli abbia fatto un complimento o se si sia divertito a sfotterlo, ma decide di ringraziarlo lo stesso, e prima d’incamminarsi di nuovo verso gli uffici della Mass Film, perché si è reso conto di aver dimenticato di prendere le pagine da portare in copisteria, dice sorridendo, ormai a se stesso:
– Ciao Ettore. Grazie!

I funerali del regista Ettore Scola, morto martedì scorso a 84 anni, si sono tenuti a Roma venerdì. Hanno parlato molti amici di Scola, tra cui Stefania Sandrelli, Carlo Verdone, Pif, Giuseppe Tornatore, e Paolo Virzì, che ha letto questo suo ricordo.

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