Come si sceglie il direttore dell’Economist

In modo informale «senza rituali arcani, grembiuli o latino» racconta uno che ci ha provato (ed è stato respinto, ma con molta gentilezza)

Lo scorso 23 gennaio il consiglio d’amministrazione della società proprietaria del settimanale Economist – The Economist Group – ha annunciato la nomina del 17esimo direttore nella storia del giornale: si tratta di Zanny Minton Beddoes ed è la prima donna a ricoprire questa carica. L’Economist è uno dei più importanti e prestigiosi settimanali al mondo e ha circa 1,6 milioni di lettori. Su Quartz, Gideon Lichfield, ex-giornalista dell’Economist e uno dei candidati alla sua direzione, ha raccontato dall’interno come viene scelto un nuovo direttore.

L’Economist è circondato da un’aura sacrale, ha scritto Lichfield, quindi sarebbe facile immaginarsi che la scelta di un nuovo direttore «includa qualche rituale arcano con l’uso di grembiuli e frasi in latino». Invece si tratta di un processo molto semplice e diretto: quando l’ex-direttore John Micklethwait ha annunciato che avrebbe lasciato l’Economist per dirigere Bloomberg News, ha anche aggiunto che chiunque avesse voluto candidarsi alla sua successione avrebbe semplicemente dovuto inviare una mail al presidente del consiglio di amministrazione della società, l’ex direttore Rupert Pennant-Rea. Lichfield è stata una delle tredici persone ad inviare la sua candidatura. La risposta che ha ricevuto è stata altrettanto semplice e cortese: «Caro Gedeon, grazie per avermi detto che vuoi diventare il nuovo direttore dell’Economist».

La franchezza e la semplicità sono due tratti distintivi del giornale, racconta Lichfield. L’atmosfera che si respira nella redazione è molto informale, grazie anche al fatto che i direttori del giornale sono quasi sempre stati piuttosto giovani. Su sedici direttori arrivati prima di Minton Beddoes, tredici avevano meno di 40 anni e tuttora i 50 anni sono informalmente considerati l’età massima per un direttore. Tra tutti i direttori che si sono succeduti, soltanto uno venne scelto tra gli esterni alla redazione: tutti gli altri erano giornalisti che lavoravano o che avevano lavorato per l’Economist. Lichfield ha lavorato al settimanale per sedici anni prima di partecipare alla fondazione di Quartz, nel 2012.

Dopo aver raccolto le domande, la direzione dell’Economist ha inviato una mail a tutto lo staff con la lista dei candidati. È una cosa, racconta Lichfield, che difficilmente sarebbe potuta accadere in un qualsiasi altro giornale, dove la lista sarebbe finita in pochissimo tempo nelle mani di qualche giornalista di gossip e pubblicata su tutti i siti che si occupano di pettegolezzi sulla stampa. Nella mail dell’Economist, invece, non c’era nemmeno la richiesta di non diffonderne il contenuto. Secondo Lichfield era semplicemente impensabile che a qualcuno venisse anche solo in mente di passare la lista a qualche collega.

Il passo successivo per i candidati è stato inviare al consiglio d’amministrazione i loro progetti per il futuro del giornale e poi partecipare al primo colloquio per ridurre i candidati a una rosa più ristretta. Lichfield era il penultimo a fare il colloquio e ha raccontato su Quartz la sua intervista al quattordicesimo piano dell’edificio, davanti a una libreria piena di vecchi numeri del giornale rilegati in albi con lettere dorate. I suoi interlocutori, ha scritto, lo guardavano mentre esponeva le sue idee, senza manifestare alcun giudizio nei suoi confronti. Dopo avergli fatto domande per più di un’ora lo hanno garbatamente salutato e accompagnato all’uscita.

Terminati i colloqui, dodici dei tredici candidati si sono ritrovati per un pranzo. Poche ore dopo sono cominciate ad arrivare le e-mail della direzione. Nella mail ricevuta da Lichfield Pennant-Rea c’era scritto: «Come sai, abbiamo avuto un gran numero di eccellenti candidati e alcuni di loro si sono dimostrati più forti di te. Mi spiace deluderti e spero che tu possa capire».

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