CHICAGO - JANUARY 18: Patrons of the Marshall McGearty Tobacco Artisans cigarette lounge, owned by the R.J. Reynolds Tobacco Co., use an ash tray January 18, 2006 in Chicago, Illinois. The upscale lounge, which opened this week, is unaffected by Chicago's tough new anti-smoking ordinance that also took effect this week. The measure prohibits smoking in most public places. (Photo by Tim Boyle/Getty Images)

L’enorme risarcimento imposto a R.J. Reynolds

Una delle più grandi multinazionali del tabacco dovrà versare 23,6 miliardi di dollari alla famiglia di un fumatore morto di tumore ai polmoni: non è la prima volta che accade

Venerdì 18 luglio una giuria della Florida ha condannato l’azienda produttrice di sigarette R.J. Reynolds – una società posseduta dalla Reynolds American, la seconda azienda produttrice di sigarette degli Stati Uniti – a risarcire la moglie di Michael Johnson, un fumatore morto di tumore ai polmoni, con 23,6 miliardi di dollari (circa 17,1 miliardi di euro) per danni punitivi – una specie di ulteriore risarcimento oltre a quello per danni materiali. La notizia è circolata molto sui giornali americani data l’enorme cifra che l’azienda è stata condannata a risarcire: si tratta di una cifra superiore al patrimonio totale della Reynolds American, che nel 2013 ammontava 15 miliardi di dollari.

Johnson era uno scaricatore di porto e autista di bus privati: morì nel 1996 a 36 anni dopo che per più di vent’anni aveva fumato da uno a tre pacchetti al giorno. Sua moglie, Cynthia Robinson, nel 2008 aveva fatto causa a R.J. Reynolds accusando l’azienda di aver nascosto a suo marito che la nicotina creasse dipendenza e che fumare potesse provocare tumori ai polmoni. In una decisione presa poche ore prima, la stessa giuria aveva già imposto a R.J. Reynolds di versare 7,3 milioni di dollari come risarcimento per danni materiali a Robinson e ai due figli della coppia e 9,6 milioni a un figlio avuto da Johnson durante una precedente relazione.

Robinson ha detto al New York Times che «quando [i membri della giuria] lessero il verdetto, udii la parola ‘milioni’ e mi emozionai immediatamente. Poi, il mio avvocato mi spiegò che invece si trattava di miliardi. Incredibile». Spiega CNN che secondo Chris Chestnut, l’avvocato della donna, la giuria è rimasta «turbata dalle prove che la società utilizzasse tecniche di marketing molto aggressive, dirette in particolare ai giovani, e dalla tesi della difesa secondo la quale la scelta di fumare era stata fatta dallo stesso Johnson». Il Times aggiunge che durante il processo sono stati proiettati alcuni video del 1994, trasmessi dal canale televisivo via cavo C-SPAN, in cui alcuni dirigenti di società produttrici di sigarette spiegavano che queste ultime non provocavano il cancro né creavano dipendenza; al contempo, sono stati anche mostrati alcuni documenti interni vecchi di circa sessant’anni che provavano che le società erano già a conoscenza del contrario.

Jeffery Raborn, il vicepresidente di R.J. Reynolds – che possiede marchi di sigarette come Camel, Winston e Kool – ha detto che la decisione della giuria è andata «parecchio oltre il concetto di ragionevolezza e giustizia» e che l’azienda farà appello contro la decisione della giuria. Le probabilità che riesca a diminuire la cifra dovuta sono alte: nel 2002, una giuria di Los Angeles condannò l’azienda produttrice di sigarette Philip Morris a pagare 28 miliardi di dollari di risarcimento in un altro processo: nove anni dopo, una corte di appello ridusse la cifra a 28 milioni.

La causa di Johnson è fra le moltissimi che facevano parte del cosiddetto “caso Engle”: una class action di migliaia di fumatori e parenti di fumatori – a cui partecipò anche la stessa Cynthia Robinson – contro alcune industrie del tabacco e portata avanti dal pediatra americano Howard Engle negli anni Novanta. Nel 2000 una giuria stabilì che le aziende produttrici di sigarette dovessero risarcire una cifra attorno ai 145 miliardi di dollari, ma tre anni dopo una corte d’appello invalidò la decisione, sostenendo che fosse eccessiva e che i casi dei singoli fumatori erano troppo diversi per formare una class action. I querelanti si rivolsero allora alla Corte Suprema della Florida, che sostenne la decisione della corte d’appello di vietare la class action, concedendo però che fossero portate avanti singole cause contro i produttori di sigarette. Nel 2008, quindi, Robinson fece autonomamente causa a R.J. Reynolds, arrivando quindi al processo che si è concluso venerdì con la condanna al pagamento di 23 miliardi di dollari.

Lo scorso mese la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato di esaminare una serie di appelli di varie società produttrici di sigarette, molti dei quali avanzati da R.J. Reynolds, che cercavano di ribaltare risarcimenti superiori ai 70 milioni di dollari decisi da corti della Florida. 

foto: Tim Boyle/Getty Images

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