Il volo MH370 finì il carburante?

È ormai l'ipotesi più accreditata sulla fine del Boeing 777, a 11 settimane dalla sua scomparsa, ma rimane appesa la domanda grossa: perché andò alla deriva?

Lunedì 26 maggio l’Australian Transport Safety Bureau (ATSB), l’agenzia governativa australiana che si occupa di regolare e vigilare sul sistema dei trasporti, ha diffuso una nuova serie di documenti sulla ricerca del volo MH370 di Malaysia Airlines, scomparso l’8 marzo scorso mentre era in volo da Kuala Lumpur (Malesia) a Pechino (Cina). Nei rapporti si conferma che probabilmente il Boeing 777, che trasportava 239 persone, precipitò nell’oceano Indiano al largo dell’Australia Occidentale dopo avere viaggiato per diverse ore fuori rotta. L’ATSB è arrivato a questa conclusione attraverso una nuova serie di analisi dei segnali (“ping”) inviati dall’aeroplano a un satellite della rete Inmarsat, utilizzata per la trasmissione di dati tra gli aerei e le loro rispettive compagnie aeree.

L’analisi dell’ultimo ping ricevuto dal satellite indica che l’aereo stava probabilmente perdendo quota, forse a causa della fine del carburante. Secondo gli esperti, l’aereo sarebbe precipitato in un raggio di 45 chilometri dal punto in cui inviò l’ultimo segnale automatico rilevato da Inmarsat. Le ricerche fino a ora condotte nel tratto di mare dell’oceano Indiano dove si pensa sia caduto il volo MH370 non hanno però portato a nessun risultato: non sono stati trovati rottami sull’acqua né detriti sul fondale marino. La zona in cui dovrebbe essere precipitato l’aereo è stata identificata calcolando la distanza che si ipotizza abbia percorso il Boeing 777 mentre perdeva quota, più una decina di chilometri di margine d’errore.

Nei documenti l’ATSB spiega che l’ultimo ping ricevuto dal satellite era fuori tempo rispetto agli altri. Di solito i sistemi di comunicazione satellitare sugli aerei non inviano dati di continuo, ma a intervalli regolari. L’ultimo ping era fuori tempo forse perché i sistemi elettronici a bordo del volo MH370 si riavviarono quando l’aereo finì il carburante. Questa ipotesi era già circolata nelle ultime settimane, e confermerebbe che il Boeing 777 volò per diverse ore alla deriva prima di finire il carburante e precipitare in mare.

I tecnici dell’ATSB dicono che l’area in cui si pensa sia caduto il volo MH370 è sovrapponibile per un tratto alla M641, una rotta predefinita che dalle Isole Cocos raggiunge Perth passando attraverso quattro punti di navigazione (waypoint). Potrebbe trattarsi di una banale coincidenza anche perché non è possibile ricostruire con precisione quali furono gli spostamenti dell’aeroplano, da quando finì fuori rotta molto più a nord, mentre stava sorvolando il Golfo di Thailandia. Le rotte predefinite servono di solito per impostare il pilota automatico dell’aereo, in modo che segua un percorso prestabilito senza che siano necessari interventi da parte dei piloti. Tra le ipotesi circolate sulla fine del volo MH370 c’è anche quella secondo cui passeggeri ed equipaggio a un certo punto persero conoscenza, forse a causa della depressurizzazione della cabina, con l’aereo che continuò a volare in assetto automatico fino all’esaurimento del carburante.

Accogliendo le richieste di maggiore trasparenza da parte delle famiglie che avevano parenti a bordo del volo MH370, il governo della Malesia ha intanto reso pubblica l’intera serie di dati raccolta da Inmarsat sui ping inviati dall’aeroplano. Queste informazioni sono state già utilizzate e analizzate più volte dalle autorità malesi, australiane, cinesi e dagli altri paesi che partecipano alla ricerca del Boeing 777, e non aggiungono quindi particolari elementi di novità.

La ricerca del volo MH370 prosegue ormai da 11 settimane e non ha per ora portato a particolari risultati. L’ATSB ha annunciato che mercoledì 28 maggio terminerà la missione della nave Ocean Shield, che nelle ultime settimane ha effettuato ricerche al largo delle coste dell’Australia Occidentale utilizzando un drone sottomarino. Nel tratto di mare analizzato erano stati rilevati alcuni ultrasuoni, la cui lunghezza d’onda era compatibile con quella emessa di solito dalle scatole nere degli aeroplani quando finiscono in acqua.

La nuova fase di ricerche prevede che sia analizzata un’area di circa 60mila chilometri quadrati, grande quanto l’Italia nord-occidentale, basandosi sui dati satellitari e le altre informazioni raccolte sull’aereo in queste settimane. Una volta identificata, il fondale del tratto di mare sarà mappato per rilevare la sua conformazione ed evitare che gli strumenti di ricerca utilizzati nell’ultima fase si possano danneggiare, contro rilievi e altre asperità sott’acqua. Parte di questa operazione in realtà è già in corso grazie alla nave cinese Zhu Kezhen, alla quale si unirà un altro battello entro pochi giorni. Il lavoro di mappatura richiederà almeno tre mesi di lavoro per essere completato.

Ottenuta una mappa dell’area da 60mila chilometri quadrati, saranno avviate le ricerche attraverso l’utilizzo di sonar e di un nuovo drone, dotato di telecamere e scandagli per l’analisi degli oggetti che si trovano sul fondale. L’ATSB prevede almeno 12 mesi per controllare tutta la zona, compatibilmente con le condizioni del mare e ad altri eventuali dati che potrebbero saltare fuori dall’ulteriore analisi delle informazioni satellitari sul volo MH370.

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