<p>Foto Marco Cantile/LaPresse<br /> 28-09-2013 Casal di Principe &#8211; Caserta &#8211; Italia<br /> cronaca<br /> Protesta dei cittadini di Casal Di Principe, dell&#8217;Agro Aversano ed in generale della &#8220;Terra Dei Fuochi&#8221; per chiedere la bonifica della loro terra che le ecomafie hanno avvelenato</p>

Cos’è la “Terra dei fuochi”

E perché se ne riparla: breve storia dei posti in cui da anni la camorra brucia rifiuti tossici, con gravi conseguenze

Lunedì 4 novembre la Camera dei deputati ha iniziato la discussione – che proseguirà oggi – di nove mozioni riguardanti la bonifica di alcuni siti inquinati di interesse nazionale, con particolare riferimento alla situazione nella cosiddetta “Terra dei fuochi”, una vasta area tra le province di Napoli e Caserta dove la criminalità organizzata gestisce e smaltisce illegalmente rifiuti speciali provenienti da tutta Italia. La definizione “Terra dei fuochi” deriva da una frase utilizzata da Roberto Saviano nel libro Gomorra, che a sua volta riprende i Rapporti Ecomafia pubblicati da Legambiente. Da molto tempo la questione viene denunciata dai cittadini dei comuni colpiti e da molte associazioni, anche con numerosi appelli, esposti e manifestazioni.

Che cosa succede e dove
La cosiddetta “Terra dei fuochi” comprende un’area molto vasta tra la provincia di Napoli e quella di Caserta. In particolare riguarda i comuni di Scampia, Ponticelli, Giugliano, Qualiano, Villaricca, Mugnano, Melito, Arzano, Casandrino, Casoria, Caivano, Grumo Nevano, Acerra, Nola, Marigliano, Pomigliano; dal lato di Caserta ci sono i comuni di Parete, Casapesenna, Villa Literno, Santa Maria Capua Vetere, Casal di Principe, Aversa, Lusciano, Marcianise, Teverola, Trentola, Frignano, Casaluce. Nel tempo il fenomeno si è esteso a tutta la Campania, giungendo anche nella provincia di Salerno.

In questi posti esistono molte discariche abusive, in piena campagna o lungo le strade: quando queste si saturano, per liberare spazio per i rifiuti successivi, vengono appiccati degli incendi. La maggior parte dei rifiuti che vengono “smaltiti” in queste zone sono rifiuti speciali. I rifiuti speciali sono definiti nell’articolo 7 del Decreto Legislativo numero 22 del febbraio 1997: sono una categoria speciale di rifiuti che si differenzia nettamente dai rifiuti urbani, quelli domestici o assimilabili a quelli domestici, quelli per esempio che derivano dalla pulizia delle strade o quelli provenienti da aree verdi. Rientrano tra i rifiuti speciali quelli da attività agricole e agro-industriali, quelli derivanti da attività di demolizione, costruzione, da lavorazioni industriali e artigianali, da attività commerciali o di servizio, o ancora quelli derivanti da macchinari, combustibili, veicoli a motore.

Sono i rifiuti più pericolosi e inquinanti, per capirsi, specie se il loro “smaltimento” avviene con modalità così rudimentali. Lo smaltimento dei rifiuti speciali dovrebbe seguire una modalità di trattamento e stoccaggio particolare, proprio per contenere i pericoli ambientali derivanti dalla loro gestione. Lo smaltimento è poi differente a seconda della tipologia di rifiuto: il percorso di un solvente di laboratorio è diverso da quello di un pannello di amianto. I rifiuti speciali sono la parte più consistente dei rifiuti – circa l’80 per cento dei rifiuti prodotti ogni anno in Italia – e anche i più costosi da smaltire: fino a 600 euro per tonnellata, per i più pericolosi.

Oltre al danno ambientale derivante dallo smaltimento illegale, c’è anche quello all’agricoltura – celebre il caso delle mozzarelle di bufala provenienti dalle zone a rischio – e quello sanitario. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) i continui smaltimenti illegali di rifiuti, con dispersione di sostanze inquinanti nel suolo e nell’aria, e l’inquinamento di falde idriche utilizzate per l’irrigazione di terreni coltivati, sono in stretta correlazione con l’incremento di diverse patologie tumorali. I casi maggiori si registrano, infatti, proprio negli otto comuni con il maggior numero di discariche di rifiuti: Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castelvolturno, Giugliano, Marcianise e Villaricca.

I dati
Dal 2001 ad oggi sono state 33 le inchieste per attività organizzata di traffico illecito di rifiuti condotte dalle procure attive nelle due province di Napoli e Caserta. I magistrati hanno emesso 311 ordinanze di custodia cautelare, con 448 persone denunciate e 116 aziende coinvolte. L’Arpac, l’Agenzia per l’ambiente della Regione Campania, ha individuato 2 mila siti inquinati.

Dal primo gennaio 2012 al 31 agosto 2013, secondo i dati raccolti dai Vigili del fuoco su incarico del viceprefetto Donato Cafagna (che dal novembre del 2012 segue per conto del ministero dell’Interno l’attività di monitoraggio e contrasto dei traffici e degli smaltimenti illegali di rifiuti nella “Terra dei fuochi”), i roghi di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame, stracci sono stati ben 6.034, di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta.

Il ruolo dei clan
La camorra ha iniziato a occuparsi di rifiuti fin dagli anni Ottanta, prima di quelli urbani, poi di quelli speciali e pericolosi, più redditizi. Il fenomeno è diventato più conosciuto grazie alle prime dichiarazioni del boss Nunzio Perrella ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli: Perrella sottolineò l’enorme interesse finanziario della criminalità organizzata per questo settore (è sua la celebre frase “la munnezza è oro”). Dalla sua testimonianza nascerà l’inchiesta Adelphi, conclusa la quale gli inquirenti scrissero che in cambio di tangenti e grazie al controllo esercitato sul territorio i clan riuscirono a scaricare illegalmente in Campania «rilevantissime quantità di rifiuti», nell’ordine di centinaia di migliaia di tonnellate.

Nel tempo le figure delle persone coinvolte nei traffici si è trasformata passando da quella dei “camorristi imprenditori” a quella degli “imprenditori camorristi”. La definizione è del magistrato Maria Cristina Ribera, che nel 2011 ha fatto mettere a verbale in Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti questa dichiarazione:

«Mentre prima soggetti notoriamente come camorristi avevano imprese che gestivano i rifiuti, ora alcuni imprenditori hanno un controllo quasi monopolistico di alcuni ambiti di questo settore che però sono il braccio economico del clan».

Fino a oggi sono una ventina gli ex boss che hanno operato nella gestione dei rifiuti e che hanno raccontato agli inquirenti come funziona il sistema. Tra loro c’è il pentito Carmine Schiavone, che già nel 1995 ai magistrati aveva evidenziato come la Campania fosse destinata a diventare una discarica a cielo aperto, soprattutto di materiali tossici tra cui piombo, scorie nucleari e materiale acido. Le sue dichiarazioni sono tornate di attualità dopo un’intervista che ha rilasciato a Sky in cui spiega nel dettaglio i luoghi dei seppellimenti dei rifiuti provenienti da tutta Italia e anche dall’estero e il sistema di “smaltimento”: 

«Il vero business era quello dei carichi che dal Nord Europa arrivavano al Sud. Rifiuti chimici, ospedalieri, farmaceutici e fanghi termonucleari. Scaricati e interrati dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli. (…) I rifiuti erano scaricati da camion e gettati nei campi e nelle cave di sabbia. Negli anni le cassette di piombo si saranno aperte, ecco perché la gente sta morendo di cancro. Stanno morendo 5 milioni di persone».

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