Un dilemma per l’Occidente

Il New York Times ha messo in prima pagina una foto molto cruda, per parlare della violenza di alcuni gruppi ribelli siriani

Giovedì 5 settembre il New York Times ha pubblicato una foto a cinque colonne in prima pagina con la didascalia: “Un video ha mostrato combattenti ribelli siriani in piedi vicino a soldati catturati, mentre un comandante, sulla destra, recita una breve poesia appena prima che ai soldati venga sparato in testa”.

L’articolo che accompagna la foto si intitola Brutality of Syrian Rebels Posing Dilemma in West (“La brutalità dei ribelli siriani pone un dilemma all’Occidente”) ed è firmato da C. J. Chivers, un esperto giornalista del NYTimes corrispondente a Mosca tra il 2004 e il 2008 e inviato nel conflitto israeliano-palestinese e in Asia centrale.

L’editoriale di Chivers raccoglie molte informazioni sul video da cui è stata tratta l’immagine, “portato fuori dalla Siria pochi giorni fa da un ex ribelle che è disgustato dalle uccisioni” – il video è online sul sito del New York Times, oscurato nei suoi momenti più drammatici – e prende le vicende che ci ruotano attorno ad esempio della complicata situazione siriana.

Il comandante nel video è conosciuto come “lo Zio”, ma il suo vero nome è Abdul Samad Issa, ha 37 anni e guida un gruppo di ribelli largamente autonomo formato da circa 300 persone. Prima della guerra civile era un commerciante e un allevatore, e ha fondato il gruppo pagando le armi di tasca sua. L’uomo che ha dato il video al New York Times – non nominato per motivi di sicurezza – dice che la sua motivazione è unicamente la vendetta per l’uccisione del padre durante il massacro governativo dei sostenitori dei Fratelli Musulmani a Hama, nel 1982, ordinato da Hafez al-Assad.

Nel video Issa dice, puntando la pistola alla testa di uno dei sette prigionieri: “Per cinquant’anni sono stati complici nella corruzione. Giuriamo al Signore del Trono, questa è la nostra promessa: ci vendicheremo”. Alla fine della recitazione, il comandante e poi gli altri uomini armati sparano ai soldati prigionieri. Secondo la ricostruzione del NYTimes, Issa è animato da un odio feroce nei confronti della minoranza alawita, quella a cui appartiene Assad, e negli ultimi mesi ha gestito un campo di addestramento vicino al confine turco e si è rifornito di armi presso parenti e soci in affari. In un caso anche dal Consiglio Militare Supremo dell’Esercito Libero Siriano, sostenuto dall’Occidente: una prova, scrive Chivers, della situazione estremamente complessa e della difficoltà di fare distinzioni chiare tra i ribelli.

I soldati uccisi nel video erano stati catturati a un posto di blocco governativo nei pressi della città di Idlib e processati sommariamente dopo che sui loro cellulari erano stati trovati video di stupri e saccheggi ai danni dei civili. Il video è stato girato in aprile e, scrive Chivers, “si unisce a una crescente serie di prove di un ambiente sempre più sanguinario, popolato da bande di criminali, rapitori e assassini”.

Chivers prosegue dicendo che, negli oltre due anni della guerra civile, l’opposizione si è riunita intorno a una struttura di comando scarsamente gerarchica, sostenuta da “diverse nazioni arabe” e “in modo più limitato” dall’Occidente. Altri elementi dell’opposizione siriana, al di fuori di questa struttura, sono invece più vicini a movimenti estremisti come al-Qaida: il risultato è “un complesso panorama di guerriglia e criminalità” fuori dalle zone controllate dal governo.

Gli Stati Uniti stanno discutendo l’intervento militare in Siria – una commissione del Senato ha approvato ieri una prima risoluzione favorevole – ma nel paese le divisioni nell’opposizione rischiano di essere un problema gravissimo. Il segretario di Stato Kerry ha stimato gli estremisti fanatici nel 15-20 per cento delle forze ribelli (a loro volta stimate tra i 70 mila e i 100 mila combattenti) mentre il repubblicano John McCain, favorevole a un intervento militare persino più deciso di quello proposto da Obama, ha detto che sono la metà.

Secondo alcuni “analisti e diplomatici”, scrive Chivers, gli estremisti sembrano poco interessati a rovesciare Bashar al-Assad, quanto piuttosto a stabilire una zona sotto il loro controllo che vada dalle province occidentali irachene all’est desertico del territorio siriano. In alcune zone, come Aleppo, Idlib, Raqqa e nella città orientale di Deir al-Zour, gli islamisti hanno già una “presenza stabile”. L’articolo non prende posizione sulla necessità o meno dell’intervento militare in Siria, né si esprime sui modi con cui gli Stati Uniti potrebbero cercare di distinguere quali gruppi sostenere tra gli oppositori dell’attuale regime.

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