Venerdì 17 maggio il parlamento afghano ha fermato la discussione sulla possibilità di ratificare la legge contro la violenza sulle donne e il matrimonio tra bambini. Il dibattito è durato in tutto 15 minuti: il presidente della Camera ha interrotto la seduta dopo le violente proteste dei mullah e dei deputati più tradizionalisti. Una legge contro la violenza sulle donne in Afghanistan esiste dal 2009 sotto forma di decreto del presidente, ma non è mai stata passata all’approvazione del parlamento. Attualmente il decreto può essere usate dai tribunali come base per il loro lavoro e alcune centinaia di persone si trovano attualmente in carcere per averne violato le disposizioni.
La decisione di forzare la mano e tentare di far approvare la legge dal parlamento ha diviso gli attivisti a favore delle donne, tra cui ci sono le 68 donne parlamentari (un quarto dei seggi è riservato a loro). Alcuni hanno sostenuto che l’approvazione in parlamento della legge renderà più difficile per i tribunali perseguire i responsabili sulla base del codice penale ordinario o della sharia, che prevedono pene più lievi. Se il decreto non sarà tramutato in legge, sostengono, per il governo sarà più facile renderlo più morbido con lo scopo di facilitare i colloqui di pace con i talebani.
Secondo altri, il rischio maggiore di vedere annacquare la legge è proprio il passaggio parlamentare. Se i tradizionalisti e gli estremisti islamici riuscissero a ottenere la maggioranza potrebbero rendere la legge più morbida e in particolare, secondo la BBC, potrebbero ottenere la legalizzazione dello stupro legale se commesso all’interno del matrimonio. Il decreto presidenziale ha rappresentato una pietra miliare nella storia dell’Afghanistan, ma il suo impatto è rimasto in buona parte simbolico. La maggior parte degli afghani vive in zone rurali dove la povertà, il conflitto e l’attitudine conservatrice rendono difficile per le donne emanciparsi e ricorrere alla legge per tutelarsi dalla violenza.
I tribunali hanno tuttora la possibilità di decidere se perseguire i responsabili di violenza contro le donne seguendo le indicazioni del decreto presidenziale oppure secondo le più morbide leggi ordinarie. Secondo un rapporto dell’ONU tra il 2010 e il 2011 su 2.299 casi di violenza o di violazione che potevano ricadere sotto la giurisdizione del decreto presidenziale, i tribunali hanno aperto un’indagine nel 26 per cento dei casi, hanno chiesto un rinvio a giudizio nel 6 per cento dei casi e hanno utilizzato il decreto presidenziale come base per le loro sentenze di primo grado nel 4 per cento dei casi.
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