Le elezioni in Islanda

I partiti dell'opposizione, tra i responsabili della grave crisi del settore bancario del 2008, sono dati per favoriti dai sondaggi

Oggi si vota in Islanda per rinnovare tutti i 63 seggi dell’Althing, il parlamento unicamerale del paese. Secondo gli ultimi sondaggi, il Partito dell’Indipendenza di centrodestra e il suo principale alleato, il Partito Progressista, dovrebbero vincere con un grande margine e tornare al governo. Le loro percentuali di consenso, secondo una media degli ultimi sondaggi preelettorali, sono rispettivamente del 25 e del 27 per cento. A seconda di quale sarà il partito che otterrà più voti, il prossimo primo ministro dovrebbe essere il leader del Partito dell’Indipendenza Bjarni Benediktsson, 43 anni, oppure il leader del partito alleato, il 38enne Sigmundur Davíð Gunnlaugsson.

I candidati per i 63 seggi dell’Althing sono 1512 (il paese ha circa 320 mila abitanti) con una percentuale di donne vicina al 40 per cento e un’età media molto bassa, poco più di 46 anni (l’Italia, che ha appena eletto uno dei parlamenti più giovani d’Europa, ha un’età media di 48 anni tra Camera e Senato). Il numero dei partiti che partecipano alle elezioni di oggi è cresciuto a quindici, da solo sette nel 2009.

Molti commentatori hanno sottolineato che, con il Partito dell’Indipendenza e il Partito Progressista, torneranno al governo i principali responsabili politici delle cattive pratiche economiche – soprattutto nel settore bancario – che hanno portato alla disastrosa crisi del 2008 e alla successiva recessione. Sembra proprio che andrà a finire così, perché la coalizione attualmente al governo è data al 22 per cento, con i socialdemocratici crollati dal 29 al 13 per cento e Sinistra-Verdi al 9 per cento (dal 14 per cento di quattro anni fa).

Le scorse elezioni parlamentari si tennero nel 2009, in un periodo drammatico per il paese: il premier Geir Haarde del Partito dell’Indipendenza si dimise a causa di manifestazioni e proteste di piazza, dopo che le tre maggiori banche del paese dichiararono il default su debiti per 85 miliardi di dollari. Le elezioni furono vinte dall’Alleanza Socialdemocratica attualmente al governo: per la prima volta dagli anni Quaranta, il Partito dell’Indipendenza non ottenne la maggioranza relativa nel parlamento.

L’Alleanza Socialdemocratica formò un governo di coalizione con il Movimento Sinistra-Verdi guidato da Jóhanna Sigurðardóttir, il primo premier donna del paese e la prima donna dichiaratamente lesbica a capo di un governo nel mondo. Sigurðardóttir, una politica con una lunga carriera alle spalle, ha detto comunque che intende ritirarsi dalla politica dopo le elezioni, qualunque sia l’esito.

L’economia islandese, dopo la crisi iniziata nel 2008 e un periodo di tre anni in assistenza del Fondo Monetario Internazionale finito nel 2011, è ancora in precarie condizioni: anche se il paese è ritornato a crescere, moltissimi islandesi faticano a pagare i loro mutui, che hanno un valore complessivo di 11 miliardi di dollari in un paese che ha un PIL di circa 13 miliardi.

Il governo uscente si è dovuto far carico della gestione della crisi del settore bancario, ma non è riuscito a portare a termine diverse iniziative promesse, tra cui il processo di revisione della Costituzione – che avviene parzialmente online, con la partecipazione dei cittadini, in un esperimento unico al mondo – e i negoziati di adesione all’Unione Europea, ancora in corso. È probabile che, con un cambio di governo, questi vengano rallentati o sospesi, dato che i partiti di opposizione sono fortemente antieuropeisti e il Partito Progressista, in particolare, promuove misure più restrittive nei confronti dell’immigrazione.

Il tema di questa campagna elettorale è stato, prevedibilmente, l’economia e in particolare la gestione dei debiti dei privati, con i candidati principali che hanno fatto promesse di tagli delle tasse e di problematiche e rischiose misure per ridurre il peso dei mutui. Nei progetti dei partiti – e in particolare del Partito dell’Indipendenza – le risorse si troveranno prendendo dai conti e dagli hedge fund degli investitori stranieri, che non hanno potuto portare via i loro capitali dall’Islanda a causa di uno stretto controllo dei capitali ancora in atto dal 2008. Il paese ha in questo periodo un’inflazione piuttosto elevata (intorno al 4 per cento) e di un tasso di disoccupazione del 5,3 per cento a marzo, una cifra molto bassa ma circa cinque volte i livelli precedenti la crisi.

Foto: il palazzo del parlamento islandese a Reykjavik, 24 aprile 2013.
(AP Photo/Brynjar Gauti)

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