Il docente universitario Gilberto Muraro spiega su Lavoce.info perché l’attuale organizzazione fiscale della finanza locale funziona, compresa la tassa sulla prima casa, e come fare per renderla un po’ più giusta.
Torna la promessa elettorale dell’esenzione Imu sulla prima casa. Difficile poi mantenerla. La struttura della finanza locale, basata su Imu, Tares e addizionale Irpef, è finalmente convincente. Occorre solo renderla più giusta attraverso la lotta all’evasione e il rifacimento del catasto.
LA PROMESSA
Sembra paradossale che l’Imu sulla prima casa, con il suo gettito compreso tra i 4 e 5 miliardi di euro, sia uno tema centrale della campagna elettorale. Ma è spettacolo già visto nel 2008, quando l’Imu si chiamava Ici, le rendite catastali non erano ancora aumentate del 60 per cento e il gettito si aggirava sui 3,3 miliardi. Il paradosso è facile da spiegare. Il tema tocca un bene primario che riguarda oltre l’80 per cento degli italiani; e di sicuro oltre il 90 per cento dei contribuenti, giacché chi non ha casa è spesso nullatenente o quasi. Facile quindi diventare popolari promettendo, praticamente a tutti, il regalo dell’esenzione. Difficile, specie in clima elettorale, è far capire l’impossibilità che tutti siano beneficiari di un regalo, per cui o si riducono i servizi o si colpiscono i beneficiari per altra via. Da questo punto di vista, il populismo di Silvio Berlusconi ha già vinto, costringendo il Pd a promettere che la detrazione sarà portata dall’attuale livello di 200 euro a quello di 500, esentando circa il 45 per cento dei contribuenti. E ciò basta a depotenziare la funzione dell’imposta, che serve a regolare quel condominio collettivo che è il comune, prima ancora che a finanziarlo.
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