L’articolo di Bernardo Valli su Repubblica di oggi, sui risultati delle elezioni in Egitto.
La rivoluzione ha cambiato faccia. L’irruzione nelle urne dei voti salafiti, degli integralisti islamici, ha stravolto i rapporti di forza, e la natura dello scontro cominciato in gennaio in piazza Tahrir. È bastato il primo appuntamento della maratona elettorale, destinata a durare sei mesi, per mutare i parametri della “primavera araba”.
E l’edizione egiziana è senz’altro la più importante e influente, rispetto a quella tunisina o libica. L’annunciato, ma non ancora ufficiale, successo dei partiti islamici, moderati e radicali, apre o accentua il confronto tra il fronte religioso e i militari, e marginalizza quello tra i rivoluzionari di piazza Tahrir e i militari. Quest’ultimi appaiono adesso come i potenziali difensori di una democrazia limitata, zoppa quanto si vuole, ma laica. Se ci si affida ai dati parziali, ma attendibili, i generali diventano paradossalmente una diga dietro la quale possono rifugiarsi i liberali e i rivoluzionari, insidiati da un legittimo potere, uscito dalle urne, che auspica l’applicazione parziale, se non proprio integrale, della legge coranica.
I risultati del voto per l’Assemblea del popolo nelle prime nove province (nelle restanti diciotto si voterà fino a gennaio, per poi passare al Senato), darebbero il 40-45 per cento al partito moderato dei Fratelli musulmani, e circa il 20-25 per cento al partito integralista dei salafiti. Se questi dati saranno confermati nei prossimi appuntamenti elettorali, la maggioranza parlamentare sarà determinata dall’ala radicale dell’Islam politico. Ed è questo che travolge i parametri della rivoluzione. Il successo dei Fratelli musulmani era scontato, non quello dei salafiti. In queste ore il trauma è dunque forte.
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