<p>Foto Mauro Scrobogna /LaPresse<br /> 21-09-2011 Roma<br /> Politica<br /> Senato &#8211; comunicazioni del ministro della Giustizia sul sistema carcerario e sui problemi della giustizia<br /> Nella foto: Emma Bonino<br /> Photo Mauro Scrobogna /LaPresse<br /> 21-09-2011 Rome<br /> Politics<br /> Senate &#8211; the Minister of Justice on the prison system and the problems of justice<br /> In the picture: Emma Bonino</p>

A cominciare dalle carceri

Emma Bonino spiega perché l'amnistia non è una pezza ma l'inizio di un progetto, che non riguarda solo i detenuti

Due osservazioni prima di entrare nel merito. Innanzi tutto, come il Ministro Nitto Palma ha sottolineato, i dati testé indicati meritano riflessione ed analisi, perché non sono solo numeri, ma sono cifre a partire dalle quali possono scaturire diverse ipotesi di soluzione. Il Ministro ha descritto una situazione attraverso alcuni dati: ad esempio, ha messo in rilievo che solo quest’anno nelle carceri vi sono stati 47 suicidi, anzi lei ha parlato di 50 suicidi (evidentemente i miei dati sono fermi a qualche settimana fa), e che gli atti di violenza su 10.000 detenuti raggiungono ormai una percentuale superiore al 10 per cento rispetto al 2 per cento degli Stati Uniti o di altri Paesi europei.
Noi radicali riteniamo che la situazione drammatica delle carceri rappresenti l’epifenomeno più macroscopico e più evidente di un malfunzionamento dell’impianto e dell’amministrazione della giustizia. Ad esempio, la situazione della scelta del carcere (lei ha posto il problema della custodia cautelare e del suo eccessivo utilizzo).
Salto il profilo dell’eccessiva durata dei procedimenti civili e penali: l’Italia ha riportato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo 1.095 condanne rispetto alle 278 della Francia, alle 54 della Germania e alle 11 della Spagna. Possiamo aggiungere altri dati come quelli relativi alla cosiddetta legge Pinto e così via.

Alla fine, però, quello che interessa i cittadini è la sicurezza, la quale si basa su un sistema efficiente e giusto. Noi, però, non siamo di fronte a questo tipo di sistema. I milioni di processi pendenti, che evidentemente coinvolgono le vittime, le famiglie, gli imputati e gli avvocati, fanno sì che milioni di italiani abbiano a che fare con quello che è un pilastro essenziale in qualunque ordinamento democratico di ogni società. L’amministrazione della giustizia non è un settore come gli altri, ma è quello su cui si fonda la credibilità istituzionale, lo Stato di diritto, il rapporto dei cittadini con la legge, e quindi i loro comportamenti.
In questo coacervo della giustizia, ad esempio, rimangono ignoti gli autori dei furti nella misura del 97,4 per cento, e per quanto riguarda omicidi, rapine, estorsioni e sequestri di persona, la percentuale media degli autori che rimane impunita supera l’80 per cento.
Non c’è da stupirsi se poi un cittadino abbia, rispetto all’intero apparato della giustizia, una qualche resistenza, per non dire diffidenza. Né mi trattengo qui sul problema ancora più gigantesco dell’amministrazione della giustizia civile. Il punto reale è che la giustizia civile sostanzialmente nel nostro Paese non esiste più: perché non ci si fa più ricorso, perché è troppo lunga, troppo lenta, troppo cara, troppo dispendiosa, e perché alla fine non si viene a capo di nulla. Tanto è vero che noi abbiamo nel nostro Paese, in generale, circa 180 mila prescrizioni all’anno. 180 mila prescrizioni all’anno non rappresentano una vera e propria amnistia non regolamentata e di cui giova solo chi ha gli avvocati più bravi, gli avvocati migliori? Non è, semmai, un dato di censo cui stiamo assistendo drammaticamente nel nostro Paese?

Questo mi porta ad affrontare subito il problema non tanto dell’approfondimento ma delle proposte su che cosa fare. Non mi voglio nascondere dietro un dito né edulcorare alcuna pillola. Affronterò subito la proposta che il Ministro ha respinto ripetendo che l’amnistia non è opportuna o che per l’amnistia non esistono le condizioni politiche, e molti lo dicono in tutti gli schieramenti. Noi riteniamo invece che, di fronte alla situazione di emergenza delle carceri che lei ha descritto e a cui ho accennato per quanto riguarda la malagiustizia, ma soprattutto di fronte alla situazione di emergenza della giustizia italiana che coinvolge milioni di famiglie, la concessione di una vasta amnistia sia necessaria, urgente ed improcrastinabile.
Di più, noi radicali riteniamo che l’amnistia sia l’unica soluzione possibile. Mi spiego: amnistia certo per i reati commessi da cittadini sottoposti a procedimenti penali, da detenuti in attesa di giudizio (lei ci ha ricordato quanti sono), e da coloro che sono già sono stati condannati e hanno scontato una parte della pena. Ma amnistia soprattutto per la Repubblica – la Repubblica del nostro Paese – costretta da anni a violare i princìpi fondamentali della nostra stessa legalità, le norme della nostra Costituzione, le nostre leggi, il rispetto dei diritti inviolabili della persona cui la vincolano i trattati internazionali, come dimostrano le sentenze. Insomma, noi viviamo in uno Stato fuorilegge, nel senso tecnico della parola; in uno Stato in flagranza di reato, ripeto, nel senso tecnico della parola. Ed è questa flagranza di reato che noi vi chiediamo di interrompere. Perché come può assicurare in maniera credibile la sicurezza dei cittadini e perseguire con efficacia ogni forma di criminalità una Repubblica che, nell’esercitare questa funzione fondamentale, si pone essa stessa tecnicamente nella sistematica necessità di violare la legge?
Il Ministro ha detto – e molti dicono – che l’amnistia sarebbe solo una misura transitoria, destinata a svuotare le carceri per un breve periodo, e che è meglio la strada difficile, ma più efficace, delle depenalizzazioni di molti reati, la riforma delle norme sulla custodia cautelare.
Io ribalto la discussione e le dico che l’amnistia è la precondizione, la premessa necessaria di qualsiasi riforma. Se voi oggi decidete di rinunciare all’amnistia, alla fine non avremo, come sempre, né l’amnistia né le riforme.
C’è una tragica coazione a ripetere in questi argomenti e in queste convinzioni. Ricordo che quando si discusse nel 2006, in un dibattito che coinvolse il Parlamento, la proposta di amnistia e di indulto proposta dal ministro Mastella, per mancanza di coraggio alla fine si ebbe solo l’indulto, perché si disse che l’amnistia sarebbe arrivata dopo, al termine di un percorso riformatore che avrebbe avuto al centro l’emanazione del nuovo codice penale. Ricordo bene. E che ne è stato di quel codice penale? Non lo trovate tra le riforme legislative della Repubblica. E per sapere quel che poteva essere e non è stato, bisogna andare in libreria e procurarsi il libro scritto a quattro mani da Nordio e da Pisapia, gli ultimi due presidenti nominati, uno dal Governo Berlusconi e l’altro dal Governo Prodi, della serie infinita di Commissioni incaricate di questa riforma, che non c’è, non è stata fatta e non è all’orizzonte.

E intanto il tessuto del nostro diritto penale è stato lacerato da una serie infinita di interventi legislativi che non hanno più niente a che fare persino con quel codice, autoritario ma rigoroso, che pur ancora esiste. Insomma, una politica che si è rivelata inerte, incapace, che ricorre sempre a nuovi reati e nuove pene: ricorre al carcere come unica soluzione, senza nemmeno chiedersi se le strutture amministrative o penitenziarie siano in grado di assorbire i nuovi provvedimenti.
La nostra richiesta, la nostra proposta di amnistia non nasce dal buonismo: nasce dall’intento di iniziare a governare un problema che scoppia e che è sotto agli occhi di tutti. Nasce dalla nostra concezione del diritto che deve essere al contempo rigoroso e giusto; deve essere fondato su garanzie valide per tutti, e non sull’arbitrio o sul privilegio di casta o di classe.
Ed è una premessa delle riforme, perché se davvero riuscissimo per una volta a partire dall’amnistia, a concepire ed avviare una azione di Governo per riorganizzare in maniera efficace e produttivo il lavoro giudiziario e la macchina della giustizia, allora sarebbe credibile e possibile mobilitare il Parlamento e le Commissioni intorno ad un progetto di depenalizzazione, di decarcerizzazione, di limitazione della custodia cautelare, delle pene alternative al carcere.
A nostro avviso non è possibile il contrario, e per due ragioni: in primo luogo perché senza l’amnistia, senza una volontà politica determinata e un progetto politico di ampio respiro, ogni proposta si sbriciolerebbe tra le mani; proviamo ad immaginare cosa accadrebbe all’interno della maggioranza, se dovesse mettere mano alla Bossi-Fini o alla Fini-Giovanardi; in secondo luogo, perché, anche se per avventura il Ministro riuscisse nel suo intento, gli effetti virtuosi e positivi dei suoi provvedimenti sarebbero fortemente limitati e, forse, in gran parte annullati dall’ingolfamento della macchina giudiziaria, dovuta all’impossibilità di smaltire milioni di processi pendenti.

Quindi, il senso della nostra proposta – e spero sia chiaro – non è solamente il senso della amnistia e dell’indulto, come dato di attenzione ai diritti umani e civili dei carcerati. È anche e soprattutto una proposta di inizio di governo di un fenomeno.
Infine, spero che nella miseria della cronaca di questi giorni questo dibattito aiuti tutti noi a guardare forse un po’ più alto – non dico più lontano – e a renderci conto che, al di là dei miasmi insopportabili che escono un po’ ovunque da tutte le parti, esiste per noi parlamentari, finché saremo qui, la responsabilità di contribuire alla soluzione e al governo dei problemi che il nostro Paese ha di fronte. È nostra responsabilità dare anche il segno e il simbolo di un’assunzione di responsabilità impopolare, probabilmente impopolare. Secondo me, è impopolare perché non ci è stato consentito di spiegarla a nessuno. I nostri dibattiti televisivi chiamati di approfondimento vertono per gran parte sul nulla; sono dei cicalecci, un approfondimento sul nulla, sul sentito dire, sull’ultimo e insopportabile pettegolezzo o gossip. Abbiamo il problema di ricostruire insieme una credibilità del Paese.

Per tutte queste ragioni, mi chiedo, penso, suggerisco e sono convinta che serva un tempo ulteriore di riflessione, di dibattito aperto, fuori e dentro questo palazzo, un dibattito che non si comprima affrettatamente oggi e che lasci aperta la possibilità di qualche riflessione ulteriore.
Mi permetto di avanzare la proposta che questo dibattito parlamentare così importante, cui sono dedicate oggi due sedute, non si concluda stasera. Ci lasci il tempo della riflessione a tutti quanti (è successo in altre occasioni molto meno importanti): che si arrivi per lo meno alla settimana prossima, per riflettere meglio su cosa vogliamo, anche per gli agenti carcerari e per tutte le persone che intorno al carcere soffrono con i carcerati e vivono una vita quasi da carcerati.
Mi permetto di chiedere a tutti che si lasci a questo dibattito alto e nobile, rispetto a miserie che pure ci circondano e attanagliano, il tempo e lo spazio interiore per riuscire tutti quanti in qualche giorno a dare il meglio di noi, il meglio delle nostre istituzioni, il meglio di quello che il Senato deve e può dare al nostro Paese.

(Mauro Scrobogna/LaPresse)

Questo testo è estratto dall’intervento di mercoledì 21 settembre di Emma Bonino al Senato riunito in sessione sul tema dello stato delle carceri italiane.

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