Il dibattito su cosa fare in Libia per fermare le violenze negli ultimi giorni ha invaso i giornali di tutto il mondo, con analisi, dibattiti, proposte, polemiche e controproposte. Com’è ovvio, non si tratta di un dibattito esclusivamente giornalistico: ministri degli esteri, presidenti e autorevoli politici di molte nazioni in queste ore hanno avanzato proposte e soluzioni. Le Nazioni Unite hanno condannato le violenze con una risoluzione e approvando una serie di sanzioni; gli Stati Uniti hanno chiesto ufficialmente a Gheddafi di farsi da parte; la maggior parte dei beni di Gheddafi all’estero è stata congelata. Nonostante questo l’esercito libico sta continuando ad attaccare e bombardare le città in mano ai ribelli. Lo scenario in Libia è già cambiato: dieci giorni fa i movimenti antigovernativi erano impegnati in manifestazioni pacifiche, oggi siamo in presenza di una guerra civile. Ogni giorno che passa senza che le violenze si fermino, diventa più concreto il ricorso a uno degli scenari che descriviamo di seguito.
Proteggere i ribelli
La NATO potrebbe inviare delle truppe nelle regioni che si sono liberate dalla dittatura, col solo incarico di proteggerle dagli eventuali attacchi di Gheddafi e porre un freno alla guerra civile. Si tratterebbe quindi di una forza di interposizione, che potrebbe fermare i combattimenti ma potrebbe contribuire a spaccare il paese in due, con una parte del paese sotto il controllo di Gheddafi e un’altra in mano ai ribelli. Inoltre, non è chiara quale dovrebbe essere la fine di questo mandato: le truppe straniere dovrebbero rimanere a protezione della regione fino a una data imprecisata.
Sostenere i ribelli economicamente e militarmente
Fino a questo momento, i ribelli hanno utilizzato armi sottratte ai depositi dell’esercito libico. Si potrebbero rifornire i ribelli delle città liberate di armi e munizioni, provvedere a un sostegno logistico e di intelligence. La strada presenta però molte insidie: in generale perché la storia insegna che rifornire militarmente una fazione nel corso di una guerra civile presenta inevitabilmente dei problemi nel lungo termine, quando la guerra finisce e non si sa in che mani finiscono le armi; in particolare perché questo potrebbe convincere Gheddafi ad avere la mano ancora più pesante e usare armi non convenzionali.
La no-fly zone e il blocco navale
Un’altra possibilità di cui si sta discutendo da giorni è l’istituzione di una no-fly zone, che potrebbe interessare l’intero paese oppure soltanto le regioni in mano ai ribelli. In questo modo Gheddafi non sarebbe in grado di bombardare i cittadini dall’alto. Si tratta di un’opzione molto meno dispendiosa rispetto a un’invasione via terra ma il rischio è che porti a pochi risultati e si risolva in un gesto simbolico, anche perché per essere svolta efficacemente richiederebbe comunque un certo spiegamento di forze. Inoltre imporre una no-fly zone non è una cosa semplice, né priva di rischi: bisogna prima neutralizzare le difese aeree di Gheddafi. L’operazione dovrebbe essere condotta dalle truppe della NATO e, stando a quanto ha detto il segretario generale, è vincolata alla decisione del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Bombardare le infrastrutture e gli aeroporti
Un’altra opzione per indebolire il regime è quella di bombardare e distruggere le infrastrutture e soprattutto gli aeroporti, in modo da impedire a Gheddafi di impiegare le forze aeree per colpire i civili. Lo ha proposto John Kerry, presidente della commissione esteri del Senato degli Stati Uniti. Sarebbe una soluzione meno impegnativa di un’invasione via terra ma sarebbe di fatto una dichiarazione di guerra e non potrebbe essere condotta senza un via libera dell’ONU.
Invasione
Per quanto sia forse l’unica strada che garantisce la deposizione del regime, un’invasione militare della Libia presenta enormi rischi e incertezze. L’operazione sarebbe molto costosa dal punto di vista economico e potrebbe causare numerose vittime sia tra i soldati che tra la popolazione. Inoltre, se porterebbe certamente alla sconfitta di Gheddafi, è del tutto incerto quello che potrebbe accadere dopo. La comunità internazionale prenderà seriamente in considerazione questa strada se la situazione in Libia dovesse precipitare: se Gheddafi iniziasse a sterminare sistematicamente i civili, se dovesse ricorrere all’uso di armi chimiche o se dovesse decidere di attaccare un paese straniero. Anche in questo caso il segretario generale della NATO ha detto che la sua organizzazione è disposta a intervenire soltanto su mandato dell’ONU, che quasi certamente non arriverà: serve infatti l’approvazione unanime dei cinque membri del Consiglio di Sicurezza e sia la Cina che la Russia si sono dette contrarie a qualsiasi intervento militare. Un’altra possibilità è la costituzione di un’ampia coalizione che comprenda la NATO, la Lega Araba e l’Unione africana, a modello dell'”alleanza di volonterosi” messa in piedi da George H. W. Bush negli anni Novanta per combattere per combattere Saddam Hussein nella prima guerra del Golfo.
foto: AP Photo/Ron Edmonds
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