Il Financial Times ha ospitato Roberto Saviano nella sua rubrica “a pranzo con” in cui racconta dei personaggi attraverso una conversazione a pranzo, appunto. Il Sole 24 Ore ha tradotto l’articolo.
Al momento di prendere accordi per il pranzo mi avevano detto di farmi trovare di fronte a un monumento in centro a una certa ora. Il tempo passa; sto per telefonare, quando una macchina esce dal traffico e sfreccia verso di me. Esce un uomo, con il rigonfiamento della pistola visibile sotto il giubbotto, mi dice «Lloyd?», poi si scusa per il ritardo e mi apre lo sportello posteriore. Con il suo collega al volante, ci rinfiliamo nel traffico e attraversiamo la città fino a un albergo.
Fuori sono parcheggiate due auto della polizia. Mi conducono dentro, giù per un corridoio fino a una stanza bianca e senza finestre con un tavolino al centro apparecchiato per due, e sopra un piccolo vaso con dentro un fiore. Una cella di lusso. Secondo gli accordi (me l’hanno ribadito cortesemente, ma con insistenza), non posso divulgare il nome dell’albergo e nemmeno quello della città.
Uno degli uomini di scorta resta con me ad aspettare: dice di essere siciliano e di essere entrato nei carabinieri «perché laggiù non ci sta niente per i giovani: certi miei amici hanno scelto il lavoro nero». Dopo alcune verifiche sui genitori e sui nonni (nella sua famiglia a quanto sembra non c’era nessuna connessione con la mafia o la criminalità), lo hanno mandato in continente; per un po’ ha servito in divisa, poi si è offerto volontario per seguire un corso di formazione per gli uomini delle scorte («anche se lo sapevo che era pericoloso») ed è stato assegnato a Roberto Saviano.
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