Nel Partito Democratico ha preso forza nelle ultime settimane un dibattito sulla rimozione dei doppi incarichi di partito e istituzionali. Oggi su Europa l’onorevole Roberto Giachetti appoggia la scelta, ma chiede che non ci siano eccezioni per il caso più vistoso, quello di Rosy Bindi presidente del partito e vicepresidente della Camera.
Quando nell’estate 2007 ho percorso circa 25 mila chilometri in un pulmino scassato insieme a un gruppo di ragazzi under 30 abbiamo fatto centinaia di incontri e parlato con migliaia di persone per raccontare e propagandare il Pd in cui credevamo e in cui ancora credo. Era il progetto del Lingotto con tutto quello che rappresentava in termini di speranza per il rinnovamento dell’Italia e della politica.
Un progetto per l’Italia ma anche una riforma reale della politica e dei partiti a cominciare dal nostro. Esaltavamo: la democraticità all’interno dei partiti; l’esigenza di renderli molto più permeabili alle tante persone che credono nella partecipazione e nella condivisione dell’azione politica; un nuovo sistema di selezione della propria classe dirigente anche attraverso un allargamento e rinnovamento degli incarichi che consentisse di fare un netto salto di qualità rispetto ad una malattia della politica e dei partiti, sempre più diffusa, di accentrare quasi tutte le responsabilità in un gruppo ristretto di persone attraverso quel perverso meccanismo che è il cumulo delle cariche.
Evitare che le medesime persone abbiano più ruoli e responsabilità da gestire è, a mio avviso, il principale strumento per far sì che i partiti possano rinnovarsi, possano aprirsi, possano crescere utilizzando le tante energie che, nonostante noi, ancora sono disponibili nella società. È anche un modo concreto di trasmettere l’idea a chi ci guarda, magari un po’ disamorato, che la politica è includente, che è davvero al servizio di tutti e nella possibilità di ciascuno a patto che voglia mettersi in gioco.
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