Il Porcellum e noi

Ripasso su come funziona e da dove viene la famigerata legge, ora che sappiamo che ci eleggeremo anche il prossimo Parlamento, e il video del suo battesimo

Tra ottobre e novembre il tema centrale del dibattito politico sembrava essere quello della legge elettorale: alla Commissione Affari costituzionali del Senato i partiti hanno discusso e litigato molto su come modificare quella attuale, oggetto di critiche da ogni direzione, compreso da chi la approvò. Poi sono arrivati dicembre e la crisi di governo annunciata pochi giorni fa: ci sarà tempo solo per approvare pochi provvedimenti oltre alla legge di stabilità e quasi certamente la legge elettorale non sarà tra questi, dato che non si è raggiunto un accordo tra i partiti. Si voterà ancora con il Porcellum, dunque, per la terza volta.

La legge elettorale in vigore è il cosiddetto “Porcellum” (legge n. 270 del 21 dicembre 2005 o “legge Calderoli”): il soprannome venne dato dal politologo Giovanni Sartori in un articolo sul Corriere della Sera del primo novembre 2006 perché Calderoli stesso, primo firmatario della legge, la definì «una porcata» sei mesi dopo la sua approvazione. Approvazione complicata, tra l’altro, perché venne votata dalla sola maggioranza di centrodestra al governo e al momento del voto definitivo l’opposizione uscì dall’aula.

Calderoli disse che era stata pensata appositamente per non far vincere con una maggioranza chiara il centrosinistra alle elezioni del 2006, come oggi confermano senza problemi in dibattiti e interviste molti esponenti del centrodestra allora al governo. Il ritorno al sistema proporzionale fu chiesto con insistenza soprattutto dall’UdC. Nelle intenzioni del centrodestra, alla nuova legge elettorale doveva accompagnarsi un’ampia riforma costituzionale in senso presidenziale e federale, gradita a Forza Italia, Alleanza Nazionale e alla Lega Nord, che venne però bocciata con un referendum del 2006. Il Porcellum invece è rimasto.

Le caratteristiche principali e il premio di maggioranza
Il Porcellum è un sistema proporzionale corretto. Nei suoi aspetti fondamentali, dà alla Camera un sostanzioso premio di maggioranza (55 per cento dei seggi, 340 deputati) alla coalizione di partiti o al partito che ottiene più voti delle altre su base nazionale, senza nessuna soglia percentuale da raggiungere e dunque potenzialmente anche a chi ha preso il 30 per cento o meno (naturalmente la coalizione o la lista deve aver superato le soglie di sbarramento necessarie a entrare in parlamento). Alle elezioni politiche del 2008, quelle che hanno determinato l’attuale parlamento e le seconde votate con il Porcellum dopo quelle del 2006, la coalizione PdL-Lega-MpA ottenne il premio di maggioranza con circa il 46 per cento dei voti, contro il 37 per cento di quella di centrosinistra.

La logica del Porcellum è assegnare maggioranze molto solide alla Camera per aumentare la stabilità e la durata dei governi. Al Senato, invece, la legge assegna i voti su base regionale: il partito o la coalizione con più voti prende il 55 per cento dei seggi assegnati a quella regione. Questo meccanismo rende l’esito finale del voto molto più incerto. Lo squilibrio si vede molto bene dai risultati delle elezioni politiche del 2006: l’Unione di centrosinistra vinse di poche migliaia di voti a livello nazionale, ottenendo il 49,8 per cento circa contro il 49,7 della Casa delle Libertà, ma grazie al premio di maggioranza aveva ben 340 deputati contro 277. Al Senato, invece, l’Unione aveva una piccola maggioranza di tre senatori, pur avendo preso circa 200.000 voti in meno del centrodestra a livello nazionale (fu determinante il voto all’estero).

Le preferenze (che non ci sono)
Con il Porcellum, l’elettore non esprime nessuna preferenza: cioè non scrive nessun nome sulla scheda e si limita a votare un simbolo, a cui è collegato una lista di candidati decisa dal partito. Questo è uno dei punti più importanti: l’unica cosa su cui tutte le forze politiche sembravano d’accordo era la reintroduzione di un meccanismo che limitasse le imposizioni dei partiti nei confronti degli elettori, le preferenze o i collegi uninominali. Anche se con varie resistenze, soprattutto nel PD, il maggior accordo si trovava nella reintroduzione delle preferenze, che infatti era prevista nel progetto in discussione alla commissione parlamentare.

Bisogna tenere presente che, nonostante molti esponenti politici ne parlino da mesi come della soluzione di tutti i problemi, anche le preferenze hanno i loro lati negativi e durante la Prima repubblica erano considerate l’origine di moltissime storture e clientelismi.

Ma come vengono scelti i parlamentari con il Porcellum, in concreto? I seggi conquistati complessivamente alle elezioni sono distribuiti sulla base di grandi collegi elettorali (27 per tutto il territorio nazionale) in cui sono possibili candidature multiple: in ogni collegio, quindi, i partiti o le coalizioni presentano una lista di candidati “bloccata” e, nella pratica, con i primi nomi spesso uguali (alle elezioni del 2008, ad esempio, nelle liste del PdL alla Camera delle 27 circoscrizioni c’erano sempre al primo posto Silvio Berlusconi e al secondo Gianfranco Fini). I primi candidati di ogni lista, a seconda del numero dei voti presi nella circoscrizione, vanno in parlamento. Ci si può candidare in più circoscrizioni, chi viene eletto in più circoscrizioni decide per quale seggio optare liberando un posto dove si ritira.

Prima delle elezioni, le coalizioni devono presentare il loro simbolo e indicare obbligatoriamente un programma e un “capo” della coalizione: la carica di presidente del Consiglio non compare, formalmente, dato che la sua nomina è fatta dal presidente della Repubblica. Dodici deputati e sei senatori sono eletti dalle persone con cittadinanza italiana residenti all’estero (altra novità introdotta dalla legge).

Gli sbarramenti
Ci sono poi le soglie di sbarramento. Per ottenere seggi alla Camera, ogni coalizione deve ottenere almeno il 10 per cento dei voti su base nazionale; le liste che non fanno parte di una coalizione devono invece ottenere almeno il 4 per cento. Le liste che compongono una coalizione partecipano alla ripartizione dei seggi se hanno superato singolarmente il 2 per cento dei voti (oltre alla prima sotto questa soglia in ciascuna coalizione, la cosiddetta miglior perdente). Al Senato, invece, le soglie di sbarramento sono tutte a livello regionale: per le coalizioni è del 20 per cento, 3 per cento per le liste che compongono, 8 per cento per le liste non coalizzate e che fanno parte di coalizioni che non hanno raggiunto il 20 per cento.

Come si votava prima
In generale, la Costituzione italiana non dà indicazioni specifiche sulla legge elettorale, con l’eccezione dell’articolo 57 che prevede che il Senato sia eletto su base regionale. Per quasi cinquant’anni, dal 1946 al 1993, in Italia si è votato con la stessa legge elettorale, che era sostanzialmente un proporzionale puro, cioè assegnava i seggi in proporzione al numero di voti ottenuti, con le preferenze. Dato che nessun partito politico italiano ha mai preso, da solo, più del 50 per cento dei voti, nelle sedici elezioni politiche della storia repubblicana, il sistema ha avuto come conseguenza la necessità di formare coalizioni per avere la maggioranza dei seggi alla Camera e l’instabilità dei governi.

Nel 1953, la legge elettorale venne modificata a maggioranza con la cosiddetta “legge truffa”, che fu al centro di feroci scontri politici (e di sedute molto agitate in parlamento). La nuova legge fu un tentativo di introdurre un premio di maggioranza per la coalizione che otteneva la maggioranza assoluta dei voti: ma la coalizione di governo che l’aveva votata, formata da Democrazia Cristiana, repubblicani, socialdemocratici e liberali, si fermò al 49,8 per cento dei voti e non ottenne il premio. La legge venne abrogata dopo pochi mesi e si tornò al vecchio proporzionale puro.

Di cambiare la legge elettorale si ricominciò a parlare con qualche passo concreto a partire dagli anni Ottanta (una commissione parlamentare, la cosiddetta “commissione Bozzi”). Ma ci sono voluti Mani Pulite, la sparizione dei maggiori partiti della Prima Repubblica e due referendum nel 1991 e nel 1993 per arrivare alla modifica della prima legge elettorale. Nell’agosto 1993, infatti, venne approvato il Mattarellum (un altro soprannome inventato da Sartori, dal nome del suo proponente, l’ex ministro democristiano Sergio Mattarella): un sistema dai meccanismi piuttosto complicati ma che, come caratteristica fondamentale, assegnava i seggi per tre quarti con il maggioritario e per un quarto con il proporzionale (aveva poi uno strano e sbilanciato meccanismo per la tutela dei partiti minori, il famoso “scorporo”). Il Mattarellum è stato la legge elettorale per le elezioni del 1994, del 1996 e del 2001, prima della legge Calderoli.

I tempi del voto in Italia

Foto: Mauro Scrobogna/LaPresse