domenica 7 Aprile 2024

Dire Fare

Mercoledì il giornalista Davide Vecchi è diventato il nuovo direttore editoriale dell’agenzia di stampa Dire: ha 49 anni e come giornalista si è occupato prevalentemente di temi politici e di cronaca giudiziaria al Fatto Quotidiano, dove ha lavorato fino al 2018. Fino al 2022 ha lavorato come direttore dei giornali locali del centro Italia che facevano parte della società Gruppo Corriere (che editava, tra gli altri, il Corriere dell’Umbria e il Corriere di Arezzo) che all’epoca erano di proprietà dell’imprenditore della sanità e deputato della Lega Antonio Angelucci; dal 2022 al 2024 Vecchi è stato direttore del quotidiano romano Il Tempo (sempre di proprietà della famiglia Angelucci). La stessa agenzia Dire ha scritto che Vecchi si occuperà «di organizzare eventi e confronti tematici, presenziando a momenti pubblici che vedranno coinvolta la Dire» ; Nico Perrone rimarrà invece all’agenzia come direttore responsabile: il direttore responsabile è una figura obbligatoria per legge e ha ruoli maggiormente operativi in un giornale, mentre il direttore editoriale spesso può definire la linea editoriale e la visione complessiva e può essere più vicino all’editore.

La Dire è una delle principali agenzie di stampa italiane ma sta vivendo un periodo piuttosto tribolato. Nacque nel 1988 come agenzia politico-parlamentare legata al Partito Comunista Italiano ma nel tempo cambiò proprietà e approcci e divenne rapidamente autonoma senza connotazioni politiche (avevamo approfondito maggiormente la sua storia qualche mese fa). Nel 2021 il suo editore, Federico Bianchi di Castelbianco, venne arrestato e poi rinviato a giudizio perché accusato di aver cercato di ottenere aiuti per l’assegnazione di appalti pubblici con denaro e regali a una funzionaria del ministero dell’Istruzione. Dal marzo 2022 il nuovo editore è diventato Stefano Valore di Villanueva de Castellòn, imprenditore e fondatore della società informatica SiliconDev. Dall’ottobre 2021 al settembre 2023 i giornalisti e i dipendenti della Dire hanno lavorato con contratti di solidarietà, cioè con una riduzione di orari lavorativi e stipendi. Il 29 dicembre scorso 14 giornalisti hanno ricevuto una lettera di licenziamento (e una decina sono stati licenziati, su circa 70 giornalisti in redazione); poi, con una mail la sera del 31 dicembre l’agenzia ha annunciato la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione ( durata dal 1 al 26 gennaio ) per altri 17 giornalisti. Quest’ultima decisione deriva probabilmente da una situazione piuttosto contorta attorno all’azienda editrice: semplificando, l’editore Stefano Valore ha giustificato la sospensione dei giornalisti perché erano stati sospesi i contributi pubblici diretti all’agenzia, a causa di un fermo amministrativo disposto dal ministero dell’Istruzione  per il processo del precedente editore Federico Bianchi di Castelbianco, che di conseguenza ha portato la Presidenza del Consiglio ad allinearsi e sospendere i finanziamenti pubblici: il fermo amministrativo è stato revocato a fine gennaio, ma non è chiaro se siano ripresi anche i contributi. Recentemente la Dire ha vinto un bando per i finanziamenti pubblici alle agenzie di stampa e riceverà circa due milioni di euro per i prossimi tre anni.

Da novembre ha lavorato come amministratore della società  l’imprenditore Stefano Pistilli, che in passato è stato vicino all’organizzazione neofascista Forza Nuova, e che si è però dimesso dall’incarico a fine gennaio. La linea editoriale dell’agenzia è comunque rimasta molto simile al passato: ha continuato a occuparsi prevalentemente di notizie parlamentari, politiche, sanità e associazionismo, sebbene abbia dovuto farlo con un numero ridotto di giornalisti: oggi sono circa 60 e sono diminuiti anche i collaboratori. La nomina a direttore di Davide Vecchi è avvenuta nel giorno in cui la redazione aveva indetto un giorno di sciopero nei confronti dell’editore (per la questione dei giornalisti sospesi a gennaio, che hanno però lavorato lo stesso ma venendo retribuiti per 4 giorni di lavoro) e si inserisce in un contesto di polemica vivace dei giornalisti rispetto alle decisioni dell’editore.

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