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  • Venerdì 28 ottobre 2016

Forse oggi in Islanda vincono i Pirati

Ci sono le elezioni parlamentari, anticipate dopo lo scandalo dei Panama Papers, e il partito che sostiene la democrazia diretta e la trasparenza è in testa ai sondaggi

Birgitta Jonsdottir, del Partito dei Pirati. (AP Photo/Frank Augstein)
Birgitta Jonsdottir, del Partito dei Pirati. (AP Photo/Frank Augstein)

Sabato 29 ottobre ci sono le elezioni parlamentari in Islanda, e il partito di opposizione dei Pirati – a favore della democrazia diretta, della trasparenza del governo e del diritto alla privacy, paragonato spesso al partito spagnolo di Podemos o al Movimento 5 Stelle – è dato in testa dai sondaggi. Le ultime elezioni parlamentari in Islanda si sono svolte nel 2013: normalmente una legislatura dura quattro anni, ma lo scorso agosto il governo islandese ha deciso di anticiparle, in seguito allo scandalo dei Panama Papers che aveva portato alle dimissioni del primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, del Partito Progressista.

L’attuale governo islandese è sostenuto da una coalizione tra due partiti, com’è avvenuto quasi sempre nella storia del paese. I due partiti al governo sono il Partito dell’Indipendenza, conservatore, che ha guidato quasi tutti i governi islandesi dalla fondazione nel 1929, e il Partito Progressista, liberale e di centro. Ma in Islanda dopo la crisi finanziaria del 2008 è nato, come in quasi tutti i paesi occidentali, un sempre più influente movimento populista, che si è raccolto intorno al Partito dei Pirati islandese, espressione di una più ampia rete di partiti con rappresentanza in moltissimi paesi nel mondo. In Islanda la crisi del 2008 fu più grave che in altri paesi: le tre principali banche fallirono, la borsa nazionale perse il 97 per cento e il valore della corona islandese si dimezzò. Ora, anche grazie al grande aumento del turismo, il paese si sta riprendendo: la crescita prevista per il 2016 è del 4,3 per cento, e la disoccupazione è poco sopra il 3 per cento. È utile ricordare che l’Islanda ha solo 320mila abitanti.

Alle ultime elezioni, nel 2013, il Partito Pirata islandese ha ottenuto il 5 per cento dei voti, e tre seggi sui 63 totali dell’Althing, il parlamento islandese. Ma negli anni i suoi consensi sono aumentati molto, soprattutto dopo i Panama Papers: la pubblicazione dei documenti riservati di Mossack Fonseca, una delle più importanti società del mondo che si occupa di creazione e gestione di società off shore e in paradisi fiscali, rivelò che una società alle Isole Vergini intestata a Gunnlaugsson – e poi trasferita alla moglie – aveva avuto grossi crediti con tre banche islandesi poi salvate dallo stato quando Gunnlaugsson era in parlamento. Non fu accusato di nessuna illegalità, ma ci furono grandi proteste nella capitale Reykjavík per chiederne le dimissioni. Ora il partito progressista, secondo i sondaggi, ha circa l’8 per cento dei voti, un terzo di quanto ottenne nel 2013.

Lo scandalo dei Panama Papers ha accresciuto la popolarità del Partito dei Pirati, che i sondaggisti stimano possa ottenere tra i 18 e i 20 seggi alle elezioni di oggi, con più del 20 per cento dei voti (dopo i Panama Papers alcuni sondaggi li davano addirittura al 40 per cento). Attualmente, i due partiti che formano la coalizione di governo ne hanno 19 ciascuno. I Pirati hanno già escluso di formare coalizioni con uno dei due partiti al governo, ma potrebbero formarne una con gli altri partiti attualmente di opposizione, tra cui ci sono i Verdi, i socialdemocratici e Futuro Luminoso, un partito liberale ed europeista. I Pirati dicono di non avere un leader, ma di essere un partito formato dai cittadini: c’è però di fatto un’esponente del partito più in vista degli altri, ed è Birgitta Jónsdóttir, che ha 49 anni, è già parlamentare ed è una femminista, un’artista e un’ex collaboratrice di WikiLeaks. Jónsdóttir ha detto al Guardian che in realtà non mira a diventare primo ministro, quanto piuttosto a rovesciare il sistema che governa l’Islanda, secondo lei corrotto e nepotista. Chiama questo sistema “la Piovra”, e dice che l’Islanda è come una Sicilia nell’Atlantico del Nord.

I Pirati dicono di non essere né di destra né di sinistra: è una cosa che li accomuna al Movimento 5 Stelle, mentre per esempio Podemos, Syriza in Grecia o il movimento nato attorno a Bernie Sanders negli Stati Uniti, spesso paragonati ai Pirati, hanno un’identità di sinistra radicale. Alcuni osservatori hanno anche paragonato i Pirati ad altri movimenti populisti internazionali, come quello di Donald Trump o all’UKIP nel Regno Unito. I Pirati non sono per esempio un partito europeista, nonostante non abbiano preso posizioni nette neanche in senso opposto: dicono che l’eventuale adesione del paese all’Unione Europea – per ora non ne fa parte – deve essere sottoposta alla popolazione con un referendum.

Il programma dei Pirati tocca molti argomenti, dai diritti degli animali alla protezione dell’ambiente e quella della privacy (la loro prima proposta di legge nel 2013 riguardava la concessione dell’asilo a Edward Snowden, l’ex consulente della NSA che diffuse i documenti che rivelarono il programma di sorveglianza di massa degli Stati Uniti). Uno dei punti principali della loro piattaforma è però quello di coinvolgere i cittadini nell’attività legislativa, facilitando la convocazione di referendum e di proposte di legge compilate attraverso il crowd-sourcing. Negli scorsi anni si parlò molto del progetto islandese di scrivere una nuova costituzione in questo modo, anche attraverso i social network, che poi fallì: non fu approvata dall’Althing, nonostante fosse stata votata da due terzi della popolazione con un referendum. Tra le promesse dei Pirati in campagna elettorale c’è stata anche quella dell’adozione della nuova costituzione.