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  • Martedì 17 dicembre 2013

La strage di Fiumicino

All'epoca fu il più grave attentato terroristico avvenuto in Europa: morirono in 32, durò molte ore, ci furono grosse polemiche politiche – poi ce ne siamo dimenticati

Il 17 dicembre 1973 un gruppo di cinque terroristi palestinesi attaccò l’aeroporto di Fiumicino, prendendo ostaggi e lanciando bombe contro un aereo della Pan Am. Morirono 32 persone e i terroristi riuscirono a fuggire. Fu la più grave strage terroristica avvenuta in Europa fino a quella di Bologna del 1980. All’epoca il governo fu criticato per la sua politica “filo-araba” e ci fu chi insinuò complicità tra i servizi segreti italiani e i terroristi. Oggi quella strage è stata quasi dimenticata.

L’attacco
Intorno a mezzogiorno e mezzo del 17 dicembre 1973 cinque terroristi palestinesi (ma forse erano di più, il numero non è mai stato accertato con sicurezza) scesero all’aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino da un aereo appena arrivato da Madrid. All’epoca i controlli di sicurezza agli aeroporti erano praticamente inesistenti: nei bagagli a mano i terroristi avevano mitra e bombe a mano.

Quando arrivarono alla barriera del controllo passaporti, i cinque tirarono fuori le armi e presero in ostaggio sei agenti di polizia. Il gruppo si divise: quelli con gli ostaggi si diressero verso il gate 14, mentre altri cominciarono a sparare contro delle vetrate per poter uscire direttamente sulla pista.

Alle 13.10 il volo Pan Am 110 si preparava al decollo, in ritardo di circa 25 minuti. Il capitano Andrew Erbeck e gli altri membri dell’equipaggio nella cabina di pilotaggio videro nel terminal la gente che scappava e che cercava riparo mentre i terroristi sparavano per aprirsi una strada. Erbeck avvertì i passeggeri che stava succedendo qualcosa nel terminal e ordinò che tutti si sdraiassero in terra.

Uno dei due gruppi di terroristi stava raggiungendo l’aereo proprio in quell’istante. Alcuni di loro salirono sulla scala mobile che era ancora poggiata alla fiancata dell’aereo e lanciarono all’interno tra le due e le cinque granate al fosforo, un materiale incendiario che procura ustioni particolarmente gravi e genera fiamme molto difficili da spegnere. L’onda d’urto stordì numerosi passeggeri, mentre le fiamme si propagarono rapidamente al carburante nei serbatoi. Luigi Peco, 84 anni, fu uno dei sopravvissuti alla strage, e il 13 dicembre ha raccontato così quel momento al giornalista David Chinello (qui potete leggere l’intervista per intero):

«Quando ero disteso nel corridoio dell’aereo ho pensato: qui fra poco salta tutto. E mi sono infilato, sempre strisciando, tra la fila di sedili più larga e mi sono fermato proteggendomi i timpani come sapevo. Subito vi fu il terzo scoppio, molto forte, di una bomba dirompente il cui cono di schegge aprì uno squarcio sul tetto dell’aereo che fece da tiraggio al fumo dell’incendio. Così lo scoppio non mi ruppe il timpano e non persi i sensi, come capitò probabilmente ai passeggeri intorno a me»

Dopo le esplosioni, alcuni assistenti di volo riuscirono ad aprire un’uscita di emergenza sul lato dell’aereo. Il capitano Erbeck riuscì a salvarsi insieme a gran parte dei passeggeri, ma 30 persone morirono soffocate o per le ustioni causate dal fosforo. Quattro erano italiani.

Mentre il primo gruppo attaccava il Pan Am 110, il secondo, insieme a sei ostaggi italiani, raggiunse l’altro aereo che si trovava in quella parte della pista: un Boeing 737 della Lufthansa. Sotto l’aereo si trovarono davanti ad un agente della Guardia di Finanza, Antonio Zara, 20 anni. I terroristi gli immobilizzarono le braccia e dopo avergli detto di allontanarsi gli spararono alla schiena.

Dopo aver preso altri due ostaggi dal personale di terra dell’aeroporto ed essersi riuniti con il primo gruppo, i terroristi salirono a bordo dell’aereo Lufthansa e obbligarono l’equipaggio a decollare. Alle 13.32, 40 minuti dopo l’inizio dell’attacco, l’aereo partì diretto ad Atene.

La fuga
L’aereo atterrò ad Atene poche ore dopo e i terroristi iniziarono a trattare con il governo greco. Il governo greco si rifiutò di trattare e i terroristi minacciarono di far schiantare l’aereo sul centro della città. Non mantennero la promessa, ma uccisero uno degli ostaggi italiani e scaricarono il suo cadavere sulla pista insieme agli altri ostaggi feriti.

Dopo 16 ore di sosta ad Atene l’aereo ripartì. L’aeroporto di Beirut, la destinazione originale del volo, negò l’accesso e occupò la pista con mezzi militari per impedire all’aereo di atterrare. Cipro fece lo stesso. I terroristi furono costretti ad atterrare a Damasco, l’unico aeroporto che li accolse, per rifornirsi di carburante. Dopo circa tre ore l’aereo ripartì di nuovo.

Il problema però restava: nessun paese era disposto ad accogliere l’aereo. Alla fine i terroristi si diressero verso il Kuwait. L’accesso gli fu di nuovo vietato, ma il capitano riuscì a far atterrare l’aereo su una pista secondaria. Dopo un’ora di trattativa, il governo del Kuwait annunciò che i terroristi avevano accettato il rilascio di tutti gli ostaggi in cambio della libertà.

Ai terroristi fu permesso di tenere le loro armi. Scesero dall’aereo facendo con le dita il segno di “V per vittoria”. Nonostante questo i cinque vennero comunque arrestati, ma dopo essere stati interrogati furono trasferiti in Egitto sotto la responsabilità dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che al tempo era un’organizzazione di lotta armata. Rimasero in carcere al Cairo fino al 24 novembre del 1974 ma furono liberati dopo che altri terroristi dirottarono un aereo britannico richiedendo la loro scarcerazione. Il governo egiziano li liberò quindi in Tunisia e da quel momento non si seppe più nulla di loro.

In tutto l’attacco di Fiumicino era costato la vita a 32 persone, tra cui sei cittadini italiani. Dopo alcuni giorni i terroristi vennero trasferiti dal Kuwait all’Egitto. Il governo egiziano di Anwar Sadat, dopo aver rinunciato a processarli, li consegnò all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Da allora di loro non si è più saputo nulla.

I sospetti
Il 18 dicembre, mentre il sequestro non si era ancora concluso, il governo guidato da Mariano Rumor andò in Parlamento a riferire sulla strage. Durante la seduta il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani fu duramente contestato dai deputati del MSI e del Partito Liberale. Il governo venne accusato di aver adottato una politica “filo-araba” – sia la corrente di Andreotti che parte del PSI, alleato della DC, avevano orientamento filo-palestinese – di aver sottoscritto un patto segreto con le organizzazioni terroristiche palestinesi.

Secondo le accuse in passato il governo italiano si era impegnato a lasciare libera circolazione ai terroristi e alle loro armi in tutto il paese e a fare pressioni sulla magistratura affinché liberasse i terroristi arrestati nel paese. In cambio, i gruppi armati palestinesi avevano promesso di non fare attacchi in Italia. Si è parlato per decenni di questa politica: cinque anni fa Bassam Abu Sharif, considerato il ministro degli esteri del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina negli Anni Settanta e Ottanta, disse al Corriere della Sera che in quegli anni i governi italiani permettevano ai terroristi palestinesi di agire liberamente in Italia, in cambio di un impegno a non colpire obiettivi italiani. Abu Sharif lo definì “l’accordo Moro”. Francesco Cossiga, illustre esponente della DC dell’epoca ed ex presidente della Repubblica, disse allora di avere «sempre saputo – benché non sulla base di documenti o informazioni ufficiali, sempre tenuti celati nei miei confronti – dell’esistenza di un accordo sulla base della formula “tu non mi colpisci, io non ti colpisco” tra lo Stato italiano ed organizzazione come l’OLP ed il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina».

Alcuni ipotizzarono allora che l’attacco a Fiumicino fosse stato una sorta di “errore”, oppure un ripiego dopo che il piano per colpire un obiettivo fuori dal paese era fallito all’ultimo momento. Diversi giornali, come il settimanale Epoca, sostennero questa tesi: in quei giorni molti ricordarono episodi dei mesi precedenti in cui presunti terroristi palestinesi trovati in possesso di armi e bombe erano stati liberati, secondo alcuni, in seguito proprio a pressione del governo (in alcune ricostruzioni questi terroristi erano stati trasportati in paesi come la Libia con l’aiuto dei servizi segreti italiani). Il governo smentì ogni ipotesi di accordo con i terroristi. Di questi episodi si parla in questo articolo del Tempo, uno dei pochi che in queste settimane ha ricordato la strage.

Dopo la strage
Fino alla strage della stazione di Bologna nell’agosto del 1980, quello di Fiumicino fu il più grave attacco terroristico nella storia d’Europa. Con il passare degli anni, però, la strage è scomparsa dai titoli dei giornali e raramente è stata commemorata in maniera ufficiale. Durante l’intervista, Peco ha ricordato che dopo aver fatto una deposizione ai carabinieri sull’accaduto, non fu più sentito da nessun magistrato né da alcuna commissione di inchiesta.

I motivi di questa apparente rimozione sono diversi, probabilmente. Il fatto che la gran parte delle vittime fossero straniere, per esempio, insieme al fatto che non si sia costituita un’associazione di familiari delle vittime. Inoltre, per quanto ancora non si conosca la verità sulle trattative tra lo stato italiano e le organizzazioni terroristiche palestinesi, la strage rimase a lungo un episodio molto imbarazzante per il governo.

Infine la strage di Fiumicino del 1973 fu oscurata, almeno nella memoria collettiva, da un’altra strage, avvenuta sempre a Fiumicino il 27 dicembre del 1985, quando un gruppo di terroristi palestinesi attaccò il terminal della compagnia aerea israeliana El Al uccidendo venti persone e ferendone altre cento.