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  • Giovedì 14 novembre 2013

L’Albania e le armi chimiche siriane

Il primo ministro albanese è favorevole a eliminarle in Albania, in cambio di soldi e reputazione politica, ma ci sono proteste

An Albanian environmental activist wears a gas mask and holds up a national flag as he takes part in a protest in front of the Albanian parliament in Tirana on November 14, 2013, over the possibility of the Republic of Albania processing and destroying 1.000 tons of chemical weapons from Syria in its military facilities. Albanian Prime Minister Edi Rama said today that his country has yet to decide whether it will undertake the destruction of Syrian chemical weaponry on its soil as hundreds protested against such a move. Albania, along with France, Belgium, have been mooted as possible sites for the dismantling of Syria's entire chemical arsenal, estimated at about 1,000 tonnes. AFP PHOTO / GENT SHKULLAKU
An Albanian environmental activist wears a gas mask and holds up a national flag as he takes part in a protest in front of the Albanian parliament in Tirana on November 14, 2013, over the possibility of the Republic of Albania processing and destroying 1.000 tons of chemical weapons from Syria in its military facilities. Albanian Prime Minister Edi Rama said today that his country has yet to decide whether it will undertake the destruction of Syrian chemical weaponry on its soil as hundreds protested against such a move. Albania, along with France, Belgium, have been mooted as possible sites for the dismantling of Syria's entire chemical arsenal, estimated at about 1,000 tonnes. AFP PHOTO / GENT SHKULLAKU

Da qualche giorno l’Albania è stata indicata da alcuni giornali stranieri come una delle possibili destinazioni per le armi chimiche della Siria, che secondo i piani delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC, a cui è stato assegnato l’ultimo premio Nobel per la Pace) dovranno essere portate fuori dal territorio siriano e distrutte entro la metà del prossimo anno. Da martedì però centinaia di albanesi hanno iniziato a protestare contro l’ipotesi di accogliere l’arsenale chimico siriano: le manifestazioni più importanti sono state organizzate a Tirana, la capitale dell’Albania, di fronte all’ambasciata statunitense e al parlamento.

Molti albanesi hanno protestato con striscioni e slogan che rivendicavano la sovranità nazionale piena del paese. Aldo Merkoci, attivista citato da Reuters, ha detto: «L’Albania è degli albanesi, non della comunità internazionale», aggiungendo che solo il popolo albanese può esprimersi su una questione di tale portata. La stessa posizione è stata ribadita dal leader dell’opposizione ed ex primo ministro Sali Berisha, che ha parlato della possibilità di tenere un referendum. Le proteste sono state seguite da diverse riunioni nella città centrale di Elbasan e nella vicina centrale di Mjekes, probabile destinazione delle sostanze chimiche da eliminare.

Martedì il primo ministro albanese socialista Edi Rama, insediato appena due mesi fa, ha confermato di avere sentito per telefono il segretario di stato americano John Kerry e di avere discusso la questione dell’eliminazione delle armi chimiche siriane: ha detto che nessuna decisione è ancora stata presa, ma si è espresso a favore di un possibile accordo con gli Stati Uniti. Uno dei motivi è che l’Albania riceverebbe in cambio un cospicuo compenso in denaro: mercoledì Rama ha detto: «Il nostro “sì” è legato solo a un piano e un accordo che chiariranno a tutti che l’Albania ne verrà fuori a testa alta, più ricca e più pulita di quanto non sia oggi». Ad ogni modo, se ci sarà un accordo, dovrà essere raggiunto entro venerdì 15 novembre, giorno entro il quale l’organizzazione e il governo siriano dovranno trovare un accordo per un piano dettagliato sul “come” e “dove” distruggere più di 1000 tonnellate di agenti tossici e munizioni.

L’Albania aveva già collaborato con gli Stati Uniti nello smantellamento delle sue armi chimiche alla fine dell’era comunista. Negli ultimi anni il governo albanese ha migliorato progressivamente i rapporti con gli statunitensi e gli europei: è membro della NATO dal 2009, e nello stesso anno ha presentato anche la domanda di adesione all’Unione Europea. Ora è in attesa che gli venga concesso lo status di paese candidato all’adesione all’UE – ne discuteranno a dicembre i capi di stato e di governo dei 28 stati membri nell’ambito del Consiglio europeo.