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  • Martedì 26 ottobre 2010

Il calciomercato dei ragazzini

La questione della meritocrazia si sposta anche su un fronte inedito: le squadre giovanili di calcio

di Giuseppe Granieri

“Nel calcio non esistono le raccomandazioni: vanno avanti solo quelli che meritano, quelli che sanno giocare. Uno che è stato messo lì apposta lo vedi subito, da lontano. Il posto in squadra non te lo puoi comprare”. Questa frase ha rappresentato per anni una delle poche verità assolute riguardo il calcio, diventata poi luogo comune e cliché. Nel recente passato ci sono state eccezioni alla regola – la carriera in serie A del figlio di Gheddafi, per esempio – ma si trattava appunto di eccezioni, casi rarissimi.

Ora c’è il rischio che sia caduto anche questo bastione: eccome se te lo puoi comprare, il posto in squadra. Non si tratta di squadre ad alti livelli, dove far giocare un calciatore non all’altezza può provocare danni sportivi ed economici superiore a qualsiasi corruzione accettata, bensì di calcio giovanile, dilettante o poco più. Il calcio dei ragazzini.

Ci sono due modalità: la prima prevede che la famiglia del campione in erba paghi di tasca propria ogni presenza in campo. Il costo va dai cento euro a partita in su, fino all’acquisto di veri e propri pacchetti di gare: e qui il prezzo lievita e si assesta intorno al migliaio di euro o poco più. Se la famiglia non paga, perché non ha i soldi o perché non vuole spenderli, c’è la seconda modalità: lo sponsor. Trovare un imprenditore, convincerlo a staccare un assegno da 20 mila euro per farsi pubblicità e nel contempo sponsorizzare, oltre che le magliette della squadra, anche le prestazioni sportive di quel ragazzo, consentendogli quindi di giocare.

L’andazzo ha preso piede negli ultimi anni, in varie parti d’Italia. Gli interessati sono solitamente le squadre giovanili dei club: si parte dagli Allievi, per poi passare alla Berretti, alla Juniores fino alla Primavera. Il padre di un ragazzo, dietro la garanzia dell’anonimato, ha raccontato la sua esperienza. “Mio figlio è nato nel 1993, gioca al centro della difesa: si è sempre divertito nel misurarsi con i suoi pari età e da più parti, negli ultimi due anni, mi è stato fatto notare che dovevo muovermi, fare qualcosa per il ragazzo, perché le potenzialità c’erano tutte. I suoi allenatori, nella squadra amatori del paese, mi dicevano che era bravo, che ci sapeva fare, e che avrebbe potuto avere una discreta carriera se lo avessi tolto dai campi del dilettantismo e lo avessi portato nel calcio vero, quello che conta”.

E siamo alla scorsa estate. Il ragazzo comincia un lungo tour nelle regioni limitrofe a quella di residenza: accompagnato dal padre, presente a tutte le sedute di allenamento, con al seguito un borsone con dentro tuta e scarpette. Un provino di qua, uno stage di là di qualche giorno, una settimana di prova in club professionistico. Porta con sé le buone referenze degli allenatori che lo avevano allenato in precedenza, le ottime prestazioni mostrate nelle sedute atletiche e gli evidenti ampi margini di crescita, confermati dal responso di un club di Lega Pro (la vecchia serie C, per intenderci). Insomma, sul ragazzo si poteva – “si doveva”, suggeriva qualcuno – investire. L’investimento però non doveva essere fatto dalla squadra, ma dalla famiglia. “Misero subito le mani avanti, affermando che di giocatori promettenti in giro ce ne sono a migliaia e che solo i più determinati sarebbero andati avanti, anche con il sostegno della famiglia. In pratica mi hanno chiesto di acquistare delle partite, perché loro non avrebbero avuto il tempo e lo spazio necessari per provare mio figlio nelle gare che contano”.

“Io non posso pagare, e non lo farei nemmeno se ne avessi la possibilità: ma subito mi è stata prospettata la soluzione. Avrei dovuto trovare uno sponsor che finanziasse la società e, quindi, sostenesse la presenza di mio figlio durante la stagione”. Il padre non percorre nessuna delle due strade: non paga e non cerca sponsor. Il ragazzo si allena con la squadra, ma ne è messo ai margini: non gioca nemmeno le partitelle, figuriamoci le gare ufficiali. “Cosa devo dire a mio figlio, che la domenica vede giocare ragazzi meno bravi di lui ma che evidentemente hanno un altro tipo di sostegno?”.