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  • Mercoledì 8 febbraio 2023

Le critiche contro Erdogan dopo il terremoto in Turchia

La popolazione lo accusa di non aver inviato soccorsi rapidi nelle città colpite, gli avversari politici di scarsa prevenzione

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan incontra gli sfollati del terremoto a Kahramanmaras, in Turchia (EPA/MURAT CETINMUHURDAR/TURKISH PRESIDENTIAL PRESS OFFICE)
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan incontra gli sfollati del terremoto a Kahramanmaras, in Turchia (EPA/MURAT CETINMUHURDAR/TURKISH PRESIDENTIAL PRESS OFFICE)
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Negli ultimi due giorni il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è stato molto criticato per come il suo governo ha gestito la risposta al forte terremoto che lunedì ha colpito la Turchia e la Siria, provocando la morte di migliaia di persone. Erdogan è stato accusato di non aver reagito abbastanza in fretta, inviando repentinamente gli aiuti necessari nei territori colpiti, e in generale di non essere stato sufficientemente preparato a un evento di questo genere, benché il suo paese sia notoriamente molto esposto ai terremoti e nonostante altri disastri simili avvenuti in passato.

Le contestazioni a Erdogan sono arrivate sia dalle persone che abitano nelle città più colpite sia dai suoi avversari politici, in un periodo particolarmente delicato per via delle elezioni politiche che si terranno a metà maggio nel paese: la posizione di Erdogan, che si ripresenterà per un nuovo mandato da presidente, era già considerata in bilico prima del terremoto, soprattutto a causa del grande aumento dell’inflazione dell’ultimo periodo e del notevole calo del valore della lira turca. Anche per questa ragione sembra che il leader stia cercando di nascondere e reprimere il dissenso nei suoi confronti.

Mercoledì Erdogan è andato per la prima volta nelle zone colpite dal terremoto per incontrare gli sfollati: parlando con i giornalisti presenti ha ammesso iniziali problemi nella gestione dei soccorsi, limitandoli però solo al primo giorno e attribuendoli soprattutto alla difficoltà di raggiungere le zone colpite per via dell’inagibilità di strade e aeroporti. Ha poi aggiunto che «le cose stanno migliorando» e ha promesso che saranno costruite nuove case dove ne sono crollate, assicurando che «lo stato sta facendo il suo lavoro» e che ha mobilitato tutte le risorse in suo possesso.

– Leggi anche: Cosa rende l’area tra Turchia e Siria così esposta ai terremoti

Diverse testimonianze raccolte dai giornali internazionali tra le persone sfollate denunciano l’assenza di interventi in molte città per tutta la giornata di lunedì (il terremoto era avvenuto dopo le 4 del mattino), con le persone comuni costrette ad arrangiarsi con mezzi propri per cercare sopravvissuti sotto le macerie. Lunedì, hanno raccontato diversi sfollati alle prese con le ricerche, si sentivano ancora le voci di persone vive sotto le macerie che avrebbero potuto essere salvate, alcune delle quali sarebbero morte aspettando i soccorsi.

Sui social network sono stati citati come tentativi di censura alcuni servizi delle televisioni locali in cui le persone sfollate si lamentavano davanti alle telecamere della mancanza di aiuti, prendendosela direttamente col governo, ma venivano interrotte poco dopo dai presentatori o in qualche modo evitate.

Non è stato benvisto nemmeno il fatto che Erdogan abbia aspettato solo martedì per tenere una conferenza stampa in cui dichiarava lo stato di emergenza per tre mesi nelle 10 province più colpite dal terremoto e annunciava lo stanziamento da parte del governo dell’equivalente di 4,6 miliardi di euro per gli interventi. In quell’occasione Erdogan aveva tenuto un discorso piuttosto animato, in cui aveva descritto le critiche dell’opposizione come «fake news e distorsioni» e aveva annunciato che il governo avrebbe perseguito chi provava a causare «caos sociale». Poco dopo due giornalisti sono finiti sotto indagine per aver criticato il governo sulla gestione della risposta al terremoto.

Le accuse degli avversari politici di Erdogan invece si sono concentrate di più su quello che avrebbe potuto fare preventivamente, dal momento che è stato ininterrottamente primo ministro del paese dal 2003 al 2014 e poi presidente fino a oggi. Dopo un altro terremoto del 1999 in Turchia, in cui morirono 17mila persone, fu istituita una tassa che avrebbe dovuto finanziare la prevenzione dei disastri e lo sviluppo di adeguati servizi di emergenza per il futuro: il governo di Erdogan non ha mai spiegato adeguatamente come siano stati spesi quei soldi, e in questi giorni l’argomento è stato citato da molti.

Il partito di Erdogan, l’AKP (sigla che sta per Partito della Giustizia e dello Sviluppo), trovò legittimazione politica all’inizio degli anni Duemila proprio dopo il fallimento del precedente governo nella gestione del terremoto del 1999: parte della propaganda di Erdogan negli anni ha insistito nel sottolineare il successo dei suoi governi nella ricostruzione delle zone colpite, dovuto anche agli stretti rapporti con l’Unione Europea, che aveva fortemente aiutato il processo.

In un’articolo di opinione sul Washington Post, la giornalista esperta di Turchia Asli Aydintasbas ha scritto che «con l’espansione del potere di Erdogan (e con l’affievolirsi del sogno europeo della Turchia), l’interesse del governo per il rispetto delle norme di sicurezza europee si è eroso»: così un’attesa legislazione antisismica promessa dopo il terremoto del 1999 fu approvata solo nel 2018 (anche se c’erano state alcune leggi approvate anche in precedenza). Il nuovo terremoto sembra aver messo in mostra negligenze di questo genere che erano state imputate a Erdogan negli ultimi anni.

Kemal Kilicdaroglu, il leader del principale partito di opposizione in Turchia, ha detto apertamente che «se c’è una persona responsabile per questo, è Erdogan», aggiungendo che il suo governo «in 20 anni non si è preparato per un terremoto». Kilicdaroglu è visto come un probabile candidato di un’ampia coalizione di partiti (che vanno dal centrosinistra alla destra) che si schiererà contro Erdogan alle elezioni di maggio. Le elezioni si terranno proprio al termine dei tre mesi di stato di emergenza voluti da Erdogan nei territori più colpiti dal terremoto.