Si parla benissimo del nuovo film di Scorsese

"The Irishman" arriverà a novembre e i critici che l'hanno visto ne hanno parlato così bene che, se vi piace il cinema, ottobre sembrerà un mese ancora più lungo del solito

La sera del 27 settembre è stato presentato a New York The Irishman, il nuovo film di Martin Scorsese. È un film di cui si parla da almeno due anni: perché è un film di un grande regista, perché è il suo primo film con Netflix, perché parla di gangster, perché è costato molto e alcune scene sono state fatte con una particolare tecnica per il ringiovanimento digitale degli attori, e perché tra gli attori ci sono Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci. De Niro ha rappresentato, con Scorsese, una delle migliori coppie della storia del cinema; Al Pacino non aveva mai recitato per Scorsese e solo in poche occasioni con De Niro; Joe Pesci si era ritirato ma ha cambiato idea per Scorsese. Insomma, negli ultimi mesi c’erano altissime aspettative nei confronti di The Irishman, che in Italia arriverà a novembre (prima nei cinema e poi su Netflix). La notizia è che dopo la proiezione di New York, The Irishman è andato addirittura oltre le già altissime aspettative, sotto ogni punto di vista. Sono stati usati aggettivi come magistrale, epico, profondo e toccante e qualcuno si è anche azzardato a parlare di “capolavoro”.

The Irishman è basato su un famoso romanzo sulla storia di Frank Sheeran, un criminale statunitense di origini irlandesi conosciuto appunto come “The Irishman”, che ebbe a che fare con la morte del sindacalista Jimmy Hoffa. De Niro è Sheeran, Al Pacino è Hoffa.

Owen Gleiberman, critico di Variety, ha scritto che The Irishman «è proprio il film che molti di noi volevano veder fare a Scorsese» e che «è pieno di riferimenti ai suoi precedenti film di gangster, ma alla fine ci porta in un altrove nuovo e potente». Gleiberman ha parlato di una «maestosa epica gangster», di una saga che viene trasformata in una «grande rappresentazione americana di invidia, violenza, ambizione, politica e corruzione». A.O. Scott, che scrive sul New York Times, ha parlato di The Irishman come del «film sulla criminalità organizzata meno sentimentale di Scorsese, e per questo più intenso» perché, ha scritto Scott, «a Scorsese non interessano i fatti – non gli sono mai interessati – ma i sentimenti». Stephanie Zacharek ha scritto sul Time che The Irishman è un film che «emoziona in un modo che spaventa» e che è un «potente ritratto sul tradimento e sul rimpianto». Su Rolling Stone David Fear ha parlato di un film che sta tra i migliori di Scorsese e di un film che «potrebbe essere il più toccante film di gangster della storia».

David Rooney dell’Hollywood Reporter è entrato un po’ più nei dettagli tecnici e ha parlato di un film che «rappresenta su più livelli un meravigliosamente realizzato esempio di cinema di qualità». Rooney ha raccontato un film «pieno di sinuose carrellate [ce n’è una che è stata messa in relazione a quella, famosissima, di Quei bravi ragazzi] che ti mandano in estasi», ma anche «del montaggio sempre fluido e capace di tenere il ritmo alto» e «degli ambienti e dei costumi, che evocano un’America che è svanita ma anche un regno del cinema che quasi non esiste più». Su The Wrap, Alonso Duralde ha parlato di «un film pieno di personaggi, di eventi, di idee, di storia» e ha detto che The Irishman è «il classico film che migliora rivedendolo», anche se comunque «colpisce forte anche alla prima visione».

Visto che Scorsese di film ne ha fatti, non si poteva non fare paragoni: Eric Kohn di IndieWire ha scritto che The Irishman «è il miglior film gangster di Scorsese dai tempi di Quei bravi ragazzi», Alissa Wilkinson di Vox ha scritto che «lo stile forte dei film di criminalità organizzata di Scorsese e la potenza contemplativa dei suoi film più spirituali». Matt Singer di Screen Crush ha scritto che per la complessità delle storie-nelle-storie, questo film è un po’ «la versione gangster di Inception». Chris Evangelista di Slashfilm ha scritto che non si possono fare paragoni perché «è il film più riflessivo di Scorsese, un capolavoro in cui il regista riflette sul significato di tutto ciò che ha fatto finora». Non ci ha provato nemmeno Stephanie Zacharek, la quale ha scritto sul Time che «un regista anziano non avrebbe mai potuto fare Quei bravi ragazzi e che un regista giovane non avrebbe mai potuto fare The Irishman». A.A. Dowd di AV Club ha scritto che The Irishman gli ha ricordato Gli spietati di Clint Eastwood per il suo essere «un’eulogia critica di un certo cinema che Scorsese, De Niro e Al Pacino costruirono».

Si fa presto a parlare degli attori. De Niro è stato descritto come in gran forma, capace di recitare come non recitava da diversi anni, forte candidato all’Oscar per il miglior attore protagonista. Sono arrivati solo elogi, e grandi elogi, anche per Al Pacino e Joe Pesci, due fortissimi candidati all’Oscar per il miglior non protagonista. Riguardo a De Niro e Pesci, A.O. Scott ha scritto: «Quando sono insieme nello schermo, credo nella potenza dell’arte».

Al Pacino, Robert De Niro e Martin Scorsese, il 27 settembre a New York (Dia Dipasupil/Getty Images for Film at Lincoln Center)

Una questione un po’ più dibattuta è stata quella del ringiovanimento digitale, usato per far recitare alcuni attori in certe scene ambientate alcuni decenni prima. Gleiberman ha scritto: «È una tecnica perfetta? Certo che no, a volte può sembrare di vedere la cosmetica digitale lavorare su certe facce, ma è comunque un procedimento che funziona, specie in questo film». In questo caso ognuno ha detto la sua, ma in sintesi si può dire che il ringiovanimento digitale è certamente una cosa di cui ci si accorge, non una cosa che toglie gravità al film.

Si è parlato anche della lunghezza del film: 209 minuti, tre ore e mezza. Qualcuno ha scritto che è un po’ troppo, ma la maggior parte dei critici ha scritto che è la lunghezza giusta per un film imponente come The Irishman, che tra l’altro ha il gran merito di non far per niente pesare questa lunghezza, anche perché, come ha scritto Dowd, a 76 anni Scorsese dirige ancora «con la fame e l’energia di un giovane regista».

Tra i principali siti di cinema e tra i principali giornali americani, non si trovano stroncature del film, ma nemmeno recensioni che possano dirsi tutto sommato negative. Qua e là ci sono critiche a qualche aspetto – come la lunghezza o il ringiovanimento digitale – e se leggete in inglese e non temete qualche spoiler, le recensioni meno entusiastiche sono questa dell’Hollywood Reporter e questa del Guardian (dove, per capirci, il film ha preso quattro stelle su cinque). Se vi piace soffrire e aspettare, la recensione che più vi farà venire voglia di vedere The Irishman è probabilmente quella di Gleiberman, su Variety. Ma forse bastano queste righe scritte sul New York Times da A.O. Scott:

Guardare questo film, in particolare nel suo lungo elegante movimento finale, equivale al vedere un cerchio che si chiude. Non è l’ultimo film che farà Scorsese, e nemmeno il suo ultimo film sulla Mafia, ma è comunque una sorta di chiusura. Non una facile chiusura però, perché The Irishman guarda indietro a un’eredità di violenza e spreco, di uomini troppo duri e cattivi per essere rimpianti. Un monumento è una cosa complicata. Questo è grande e solido, oltre che sorprendentemente delicato.