Il film che ha iniziato la campagna #MeToo in Pakistan

Si intitola "Verna", parla di una ragazza stuprata che si fa giustizia da sola ed è diventato un caso dopo la censura decisa dal governo

Una scena di Verna
Una scena di Verna

Anche in Pakistan c’è qualcosa di molto simile a #MeToo, l’equivalente dell’italiano #quellavoltache, cioè l’hashtag usato da molte donne per raccontare le molestie sessuali subite. Si chiama #UnbanVerna e significa “togliete il divieto su Verna“. È nato attorno a un film, che si intitola per l’appunto Verna, che racconta la storia di uno stupro, e alla decisione del Pakistan di vietarne la diffusione perché basato su un «tema troppo sensibile». Molte donne hanno così cominciato a usare l’hashtag #UnbanVerna per parlare delle loro esperienze e affrontare un argomento che in Pakistan viene considerato tabù e per il quale si finisce spesso per colpevolizzare le stesse vittime di stupro.

Il film è stato girato dal regista pakistano Shoaib Mansoor e ha per protagonista Mahira Khan, l’attrice più famosa e pagata di tutto il paese. Mahira Khan interpreta Sara, una donna felicemente sposata che viene rapita e stuprata per tre giorni. Restituita alla famiglia, Sara non riesce a tornare alla sua vita normale, con il marito che l’accusa di connivenza e gli stupratori che le mandano biglietti e inviti. Nel frattempo la donna scopre che il capo degli stupratori, Sultan, era il figlio del governatore locale, candidato anche a primo ministro, che voleva vendicarsi di una protesta che la donna aveva iniziato contro il padre.

Dopo essersi rivolta alla polizia e ai tribunali che l’avevano ostacolata, Sara decide di farsi giustizia da sola. Si riavvicina al marito, rapisce Sultan, lo rinchiude e usa il suo cellulare per mandare un messaggio in cui si autodenuncia e invia delle scuse pubbliche, in cui dice anche di voler scomparire per un po’. Sultan viene lasciato morire e il film si chiude con Sara e il marito in vacanza insieme felici.

In un primo momento il film era stato vietato perché secondo i censori “screditava le istituzioni” pakistane. Dopo una massiccia campagna di protesta, però, il bando è stato tolto. Verna è uscito nelle sale il 17 novembre e ha ottenuto un buon successo di pubblico, pur non convincendo interamente la critica: alcuni lo hanno definito all’altezza dei film internazionali, per altri è invece scritto, diretto e recitato male, e banalizza il tema dello stupro riducendolo alla storia di una ragazza che cerca e ottiene vendetta facilmente, ben lontano da quello che accadrebbe a una qualsiasi donna pakistana vittima di violenza.

Verna ricorda la storia vera di Mukhtar Mai, una ragazzina stuprata nel 2002 da un gruppo di uomini su ordine del Consiglio di un villaggio. Lo stupro era una punizione diretta al fratello di lei per la relazione che aveva con una donna. Invece di uccidersi, come fanno spesso le donne stuprate nelle zone rurali del Pakistan, Mai denunciò i suoi aggressori e divenne un simbolo della lotta per i diritti delle donne. D’altra parte si fece anche parecchi nemici, tra cui molti signori feudali e l’allora presidente Pervez Musharraf, che l’accusò di sfruttare il caso per far soldi e ottenere un passaporto straniero.

Il film, anche per il tentativo del governo di proibirlo, è a sua volta diventato il simbolo del movimento femminista pakistano e della sua nuova lotta contro violenze e soprusi. Khan, l’attrice protagonista, ha spiegato che si inserisce nel movimento #MeToo soprattutto per il messaggio che restare in silenzio davanti all’ingiustizia «non è più una scelta praticabile. […] È quel che fa il mio personaggio nel film, decide di parlare, ed è quello che hanno fatto la stampa, il pubblico, i social media pakistani e i fan chiedendo che fosse tolto il divieto di distribuirlo». Secondo Khan, scrive il New York Times, «la gente ha difeso il film perché sa che lo stupro non è solo un atto di frustrazione sessuale, ma è soprattutto un atto di ostentazione del potere. E quando ha chiesto di togliere il bando, intendeva dire che non permetterà più ai potenti di intimidirla».

Il caso di Verna è interessante anche per il suo successo cinematografico. Fino al 1981 il Pakistan era uno dei dieci paesi in cui si producevano più film al mondo – circa 100 l’anno – e l’industria cinematografica, chiamata Lollywood in riferimento a Hollywood e alla città di Lahore, faceva grandi profitti. Poi, con l’arrivo al potere del generale Muhammad Zia ul-Haq, un dittatore militare ultraconservatore, l’industria entrò in declino: le sale cinematografiche passarono da un migliaio degli anni Settanta alle 45 di inizio anni Duemila, mentre i film usciti nel 2005 furono solo 20.

Negli ultimi anni c’è stata una sorta di ripresa, anche se il merito è stato soprattutto dei film indiani, nuovamente permessi dal governo dopo che erano stati vietati nel 1965 in seguito alla guerra tra i due paesi. I film indiani hanno creato un nuovo pubblico di centinaia di migliaia di persone, che ha portato alla costruzione di nuovi cinema multisala. La ripresa è stata fermata l’anno scorso, dopo che il governo ha imposto un divieto di 11 settimane sui film indiani in un momento di tensioni politiche e militari con l’India: il pubblicò nelle sale è calato del 70 per cento e produttori e proprietari di cinema si sono spaventati, capendo che i loro affari dipendevano ancora troppo dalle decisioni del governo.

In molti sperano che il successo di Verna possa risollevare il cinema pakistano, che negli ultimi anni ha prodotto altre cose su temi impegnativi: Saving Face, del 2012, su una donna sfigurata con l’acido, e A Girl in the River, del 2015, su una ragazza che si era innamorata contro il volere della famiglia e che era scappata ai tentativi del padre e dello zio di ucciderla. Entrambi hanno vinto l’Oscar per il miglior cortometraggio documentario. Il problema è che si tratta di casi isolati, che funzionano a livello nazionale perché aprono un dibattito, e a livello internazionale per i temi impegnati che raccontano; ma quel che serve davvero per risollevare l’industria cinematografica pakistana, sostiene il regista pakistano Hasan Zaidi – fondatore del Festival del cinema di Kara – «sono i film in grado di fare soldi».