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  • Martedì 3 gennaio 2017

Il massacro nella prigione brasiliana di Anísio Jobim

56 detenuti sono morti in uno scontro fra gang rivali: la situazione è tornata sotto controllo solo dopo diverse ore

La libreria della prigione di Anisio Jobim fotografata nel febbraio 2016 (Mario Tama/Getty Images)
La libreria della prigione di Anisio Jobim fotografata nel febbraio 2016 (Mario Tama/Getty Images)

Fra domenica 1 e lunedì 2 gennaio c’è stata una rivolta di massa fra i carcerati della prigione di Anísio Jobim, a nord di Manaus, in Brasile. In totale sono morti 56 detenuti: è uno dei più gravi scontri avvenuti negli ultimi anni nelle prigioni brasiliane. Le autorità e i giornali brasiliani hanno attribuito le morti a uno scontro fra gang criminali: i membri della Famiglia del Nord, una potente gang criminale di Manaus, hanno attaccato quelli della PCC, la più importante gang brasiliana di narcotrafficanti, per conto della CV, considerata la principale rivale.. Non è chiaro se fra i 56 morti ci siano anche delle guardie della prigione: 12 di loro erano state prese in ostaggio durante gli scontri, ma sono state rilasciate illese alla fine delle violenze. Durante gli scontri c’è stata anche un’evasione di massa in un altro reparto della Anísio Jobim: sono scappati 184 detenuti, finora ne sono stati recuperati 40.

In Brasile molti stanno legando gli scontri di Anísio Jobim all’esteso potere della criminalità organizzata – Wyre Davis, il corrispondente di BBC dal Brasile, dice che «molte delle più violente prigioni brasiliane sono di fatto gestite dalle gang» – e in generale al loro sovraffollamento: secondo Reuters, prima della rivolta la prigione di Anísio Jobim ospitava 2.230 detenuti nonostante avesse una capienza di soli 590 (Associated Press, citando una fonte locale, scrive invece che i detenuti presenti erano 1.224).

Non è ancora chiarissimo come sia iniziata la rivolta: si sa solo che buona parte delle persone uccise apparteneva alla PCC, la più potente gang brasiliana di narcotrafficanti, e che diverse persone presenti hanno raccontato di aver visto corpi torturati e decapitati. Le autorità brasiliane hanno confermato che negli scontri sono state usate armi da fuoco, anche contro la polizia, ma non è chiaro quante morti siano effettivamente dovute agli scontri fra gang e quante all’intervento della polizia. Le violenze si sono concluse quando il gruppo di detenuti che teneva in ostaggio le 12 guardie ha rilasciato gli ostaggi, chiedendo in cambio di non essere maltrattati dalla polizia una volta finiti gli scontri.

Marluce da Costa Sousa, la direttrice di un’associazione cattolica brasiliana che promuove i diritti dei detenuti, ha spiegato ad al Jazeera che gli scontri sono stati causati dalla guerra per il controllo di alcune carceri brasiliane: «un gruppo stava cercando di eliminare l’altro al fine di controllare il sistema delle carceri. È una questione di profitto». Sergio Fontes, il segretario alla Sicurezza dello stato dell’Amazzonia, ha spiegato invece che lo scontro va inquadrato nel conflitto per il controllo del traffico di droga.

Il Brasile è il quarto paese al mondo per popolazione carceraria, dopo Stati Uniti, Cina e Russia: attualmente ospita circa 600mila detenuti in prigioni spesso considerate inadeguate dalle associazioni per i diritti umani, sia per via della diffusa violenza sia per le cattive condizioni delle strutture. Prima di Anísio Jobim, gli ultimi gravi scontri di massa in una prigione brasiliana erano avvenuti in quella di Carandiru, a San Paolo nel 1992: 111 detenuti vennero uccisi – quasi tutti dalla polizia militare brasiliana – dopo che avevano tentato di ribellarsi alle autorità del carcere.