• Mondo
  • Domenica 18 settembre 2016

In Russia ha stravinto il partito di Putin

Lo scrutinio delle elezioni per rinnovare la Duma, la Camera bassa del Parlamento, è quasi finito e Russia Unita ha ottenuto più del 50 per cento dei voti

Vladimir Putin (ALEXEI DRUZHININ/AFP/Getty Images)
Vladimir Putin (ALEXEI DRUZHININ/AFP/Getty Images)

Aggiornamento di lunedì 19 settembre: Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, ha vinto le elezioni per rinnovare la Duma, la Camera bassa del Parlamento, ottenendo la maggioranza assoluta: con il 90 per cento delle schede scrutinate Russia Unita ha ottenuto il 54,21 per cento dei voti, secondo l’ultimo aggiornamento della Commissione elettorale. Nel 2011 il partito di Putin aveva ottenuto il 49 per cento dei consensi. Secondo le proiezioni, ancora provvisorie, Russia Unita dovrebbe avere almeno 338 dei 450 seggi alla Duma, contro i 238 che aveva in precedenza. Con più di due terzi dei deputati, il Cremlino avrebbe in questo modo un controllo senza precedenti della Camera bassa e potrebbe far adottare ancora più facilmente gli emendamenti costituzionali. Il portavoce di Putin ha detto che il voto dimostra ancora una volta «l’impressionante fiducia da parte delle persone di questo paese» nei confronti del loro presidente. Si è comunque rifiutato di rilasciare dichiarazioni su una nuova possibile candidatura di Putin nel 2018.

Tra i partiti di opposizione ma che spesso votano in linea con Russia Unita ci sono il Partito Comunista e il Partito Liberal-democratico, di estrema destra e nazionalista che appoggia Putin soprattutto sul tema dell’espansionismo territoriale nei paesi vicini: sono entrambi intorno al 13 per cento. Nessuno dei partiti della cosiddetta “opposizione non sistemica”, cioè reale, ha superato la soglia del 5 per cento, necessaria per avere rappresentanti alla Duma. L’affluenza è stata del 47,9 per cento inferiore rispetto a quella delle elezioni del 2011 (60 per cento). Durante la giornata del voto sono stati segnalati diversi casi di frode e circolano anche alcuni video girati con delle telecamere installate nei seggi elettorali che sembrerebbero dimostrarli. Ella Pamfilova, presidente della Commissione elettorale centrale, ha detto però di essere assolutamente certa che «queste elezioni si sono svolte in modo del tutto legittimo».

***

Domenica 18 settembre si vota in Russia per rinnovare la Duma, la Camera bassa del Parlamento. Inizialmente le elezioni erano state fissate per il 4 dicembre, poi i deputati russi – in gran parte vicini alle posizioni del presidente Vladimir Putin – hanno deciso di anticiparle a ridosso dell’estate, una mossa che molti hanno visto come un tentativo di renderle meno significative per danneggiare l’opposizione. Nonostante la discreta partecipazione di oppositori politici, intorno a queste elezioni non c’è molta eccitazione. Steve Rosenberg, corrispondente di BBC a Mosca, ha scritto che le elezioni di oggi saranno «le meno interessanti» tra le otto a cui ha assistito negli ultimi 27 anni: «A Mosca ci sono meno poster elettorali e cartelloni rispetto agli ultimi anni. La scorsa settimana un giornale russo ha scherzato sul fatto che le elezioni della Duma fossero state classificate “top secret”, visto che gli elettori non sanno nemmeno i nomi dei candidati».

Il risultato è ampiamente previsto e prevedibile: ci si aspetta una vittoria netta di Russia Unita, il partito di Putin. Rimane solo da stabilire quanto la crisi economica e gli scandali che hanno coinvolto diversi esponenti del governo o vicini al governo abbiano penalizzato il partito dominante. Dall’altra parte, comunque, c’è poco e niente: le opposizioni – sia quelle parlamentari che quelle extraparlamentari – sono molto divise e non sono riuscite a mettersi d’accordo per fare un fronte unico contro Putin. I partiti autorizzati a partecipare al voto di domenica sono di più rispetto a quelli presenti nel 2011, e in generale Putin ha concesso alcune aperture ai partiti di “opposizione”: ma è davvero improbabile che questo sposti qualcosa. Scrive il Financial Times: «Gli eventi più recenti hanno già reso evidente che chiunque speri che le elezioni di domenica della Duma siano significativamente più libere e più aperte delle precedenti rimarrà deluso».

CrimeaUn cartellone elettorale di Sergei Aksynov (candidato del governo) a Sinferopoli, la principale città della Crimea. Domenica, per la prima volta dall’annessione della Russia, si voterà anche in Crimea (VASILY MAXIMOV/AFP/Getty Images)

Un po’ di cose sul sistema elettorale e sulla politica russa
Alle elezioni di domenica si rinnoveranno tutti i 450 seggi della Duma. I nuovi deputati rimarranno in carica per cinque anni. Il sistema elettorale usato sarà misto, una novità rispetto alle elezioni parlamentari del 2011. Metà dei deputati sarà eletta con un sistema proporzionale a liste bloccate (cioè un sistema nel quale la lista dei candidati è scelta dal partito e il cittadino non può dare alcuna preferenza). La soglia di sbarramento è fissata al 5 per cento con l’intero paese come singola circoscrizione (quindi i partiti che a livello nazionale non otterranno almeno il 5 per cento dei voti rimarranno fuori). Quello dello sbarramento è un limite importante, che in Russia condiziona soprattutto i piccoli partiti di opposizione, molto divisi e con pochissime possibilità di entrare in Parlamento. L’altra metà dei deputati sarà eletta in collegi uninominali con sistema maggioritario – significa che ogni collegio elegge una persona, quella che ha ottenuto più voti degli altri – un cambiamento che dovrebbe essere più rappresentativo delle dinamiche locali.

Da molti anni il partito dominante è Russia Unita, il cui leader oggi è Dmitry Medvedev (solo formalmente, dato che la persona che ha l’ultima parola su tutto è Vladimir Putin). Alle ultime elezioni Russia Unita prese il 49 per cento dei voti: un risultato straordinario, visto da qui. Per Putin e i suoi alleati però fu un mezzo disastro: rispetto al precedente turno elettorale Russia Unita aveva perso 15 punti, senza contare che in tutto il mondo si era parlato delle enormi proteste anti-governative che erano state organizzate dagli avversari di Putin.

Andrew Monaghan, esperto di Russia per l’organizzazione non governativa Chatam House, ha scritto che a queste elezioni per Russia Unita considererebbe un buon risultato ottenere tra il 40 e il 44 per cento dei voti, e un ottimo risultato tra il 44 e il 48: cifre comunque più basse anche rispetto alle elezioni del 2011. Questo significa che ci sarà più spazio per le opposizioni? Non proprio.

Le opposizioni in Russia
Spesso qui da noi si parla di “opposizioni russe” in termini generici, considerandole come un gruppo monolitico di partiti nemici di Putin. La realtà è un po’ diversa. Nella maggior parte dei casi le opposizioni che abbiamo in mente noi – quelle per esempio rappresentate da Alexei Navalny, il leader delle proteste del 2011 – non sono rappresentate in Parlamento: i partiti a cui sono legate non vengono nemmeno autorizzati a partecipare alle elezioni. Sono quelle presenti soprattutto nelle grandi città, come Mosca, e che hanno bisogno di tempo e visibilità per riuscire a ottenere un certo seguito. Diversi analisti hanno sostenuto che il governo russo abbia fatto pressioni per anticipare la data delle elezioni proprio per impedire a questi gruppi di organizzarsi, come invece era successo nel 2011. Poi ci sono i candidati di opposizione che sono stati autorizzati a partecipare alle elezioni e che però per diversi motivi non hanno nessuna possibilità di successo: è il caso per esempio di quello che sta succedendo nel distretto elettorale centrale di Mosca, dove nei sondaggi i due candidati di opposizione sono dati testa a testa ma lontanissimi dal candidato di Russia Unita.

NavalnyAlexei Navalny a una manifestazione per ricordare Boris Nemstov, un oppositore russo ucciso in centro a Mosca nel febbraio 2015. Il partito di Navalny non ha ricevuto l’autorizzazione per partecipare alle elezioni di domenica (KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty Images)

Poi ci sono le altre opposizioni – vengono chiamate “sistemiche” – cioè quelle che hanno una rappresentanza parlamentare. Sono opposizioni per modo di dire perché molto spesso, soprattutto sulle questioni più importanti, votano in linea con il partito di Putin, Russia Unita. Di questa categoria fanno parte tre partiti. C’è il Partito comunista, che ha molto poco in comune con quello dell’epoca sovietica (i comunisti russi di oggi sono piuttosto combattivi con il governo solo a livello locale). Poi c’è Russia Giusta, un partito sulla carta socialdemocratico che però ha espresso fin da subito il suo sostegno al governo; la nascita di Russia Giusta, nel 2006, ottenne in qualche maniera anche l’avallo di Putin, che sperava che il nuovo partito attirasse i voti dei socialdemocratici russi sottraendoli ad altre opposizioni più serie. E poi c’è il Partito Liberal-democratico, di estrema destra e nazionalista, nonostante il suo nome: anche i liberal-democratici russi appoggiano Putin, soprattutto sul tema dell’espansionismo territoriale nei paesi vicini. I casi di opposizione vera in Parlamento sono molto rari. Un caso di cui si parlò molto fu ad esempio quello di Ilya Ponomarev, il deputato indipendente di centrosinistra che il 20 marzo 2014 fu l’unico in tutto il Parlamento russo a votare contro l’annessione della Crimea alla Russia. Dall’inizio del 2016 Ponomarev non è più un deputato della Duma: gli è stato tolto il seggio e ora vive in Ucraina, in esilio.

Questa distinzione – tra opposizioni vere e opposizioni per modo di dire – è importante per capire il motivo per cui Putin ha fatto alcune aperture ai suoi avversari alle elezioni di domenica. In sintesi si potrebbe dire così: visto il calo di consensi di Russia Unita, causato soprattutto dalla grossa crisi economica che ha colpito il paese negli ultimi anni, Putin non vuole che i voti persi passino alle opposizioni vere, quelle che molto probabilmente voterebbero contro di lui anche in Parlamento. Per farlo sta cercando di dirottare i voti persi – quelli dei delusi dal partito di governo – verso le opposizioni per modo di dire, quelle che sono più controllabili e che non rappresentano una vera minaccia al suo potere.

Le aperture, e cosa ci si deve aspettare
Ci si deve aspettare molto poco dalle aperture che ha fatto Putin in vista di queste elezioni. Si parla per esempio della scelta di mettere Ella Pamfilova – rispettata avvocatessa per i diritti umani – a capo della Commissione elettorale centrale che dovrà monitorare il corretto svolgimento delle elezioni di domenica (Pamfilova ha già detto che si dimetterà, nel caso in cui ci fossero violazioni gravi delle regole); oppure del fatto che è stato permesso a Mikhail Khodorkovsky – uno dei più conosciuti oppositori di Putin, oggi in esilio – di finanziare alcuni partiti politici (uno di questi è Russia Aperta guidato da Vladimir Kara-Murza, un politico che lo scorso anno sopravvisse a un avvelenamento per il quale fu accusato il governo russo).

I problemi più grandi della democrazia in Russia, o della sua mancanza, non sono però stati risolti: nei suoi 16 anni di governo, da primo ministro e presidente russo, Vladimir Putin è stato accusato di avere fatto uccidere, imprigionare o avere costretto all’esilio diversi oppositori. È stato anche accusato di fabbricare delle false prove per portare all’incriminazione e all’arresto dei suoi avversari. I media nazionali sono praticamente tutti sotto il controllo di Putin, che li usa per screditare gli oppositori interni e le potenze straniere rivali in maniere che qui da noi considereremmo molto poco lecite. E dopo le ultime crisi internazionali, come quella in Ucraina orientale, il consenso dei russi per il presidente sembra essere aumentato invece che diminuito. Quindi no: non ci sono cambi all’orizzonte, in Russia.