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  • Giovedì 28 luglio 2016

E poi è arrivato Obama

Ha salutato il suo partito, ha commosso tutti e ha spiegato perché bisogna votare Hillary Clinton, nel discorso più atteso di mercoledì alla convention dei Democratici

di Francesco Costa – @francescocosta

Barack Obama e Hillary Clinton. (AP Photo/Susan Walsh)
Barack Obama e Hillary Clinton. (AP Photo/Susan Walsh)

Barack Obama ha pronunciato il discorso più importante della terza serata della convention del Partito Democratico statunitense: uno degli ultimi di questa importanza e solennità del suo secondo e ultimo mandato da presidente degli Stati Uniti. È stata in generale una serata ricca di discorsi importanti, però: e se martedì tutti gli oratori avevano parlato soprattutto di Hillary Clinton, delle sue idee e delle sue qualità, la giornata di mercoledì è stata dedicata soprattutto a mettere in discussione le idee e le qualità del candidato del Partito Repubblicano, Donald Trump.

Nella parte iniziale dei lavori hanno parlato diversi personaggi importanti del Partito Democratico o che sostengono il Partito Democratico: tra gli altri Bill de Blasio, sindaco di New York; Jesse Jackson, grande attivista per i diritti civili; Harry Reid, capo dei Democratici al Senato; Gavin Newsom, ex sindaco di San Francisco; Jerry Brown, governatore della California; Leon Panetta, ex capo della CIA ed ex ministro della Difesa; l’attrice Sigourney Weaver. E Lenny Kravitz ha suonato un paio di canzoni.

Tra i discorsi del pomeriggio, il più applaudito e toccante è stato quello rivolto ai delegati da Gabrielle Giffords, l’ex deputata dell’Arizona a cui nel 2011 un uomo sparò alla testa a Tucson. Giffords è sopravvissuta, dopo aver subìto diversi interventi chirurgici al cervello, e oggi riesce con fatica a parlare e camminare. Ha parlato della necessità di introdurre leggi che regolino e limitino la vendita delle armi da fuoco in America; con lei c’era suo marito, l’ex astronauta Mark Kelly.

Un altro discorso notevole è stato quello di Michael Bloomberg, noto imprenditore e sindaco di New York, che è stato a lungo Repubblicano e oggi è un indipendente, che aveva anche pensato di candidarsi alla presidenza e che ha deciso pochi giorni fa, in modo inatteso, di sostenere Hillary Clinton. Bloomberg ha detto che «dobbiamo unirci dietro alla candidata che può sconfiggere questo pericoloso demagogo», ha aggiunto che «Trump dice che vuole governare il paese come fa con le sue aziende. Dio ci aiuti» e poi ha detto: «Io sono di New York, e noi di New York sappiamo riconoscere un truffatore quando ne vediamo uno».

In serata sono arrivati i tre discorsi più attesi e importanti. Prima quello del vicepresidente Joe Biden, che è noto per essere un ottimo oratore e anche per la tendenza ad andare a braccio abbandonando il testo del discorso che scorre sul gobbo elettronico. Biden ha fatto un discorso molto apprezzato, sia dal pubblico che dalla stampa, usando il tono colloquiale e spiccio che lo ha reso popolare in oltre quarant’anni di carriera.

«Trump vuole convincerci che lui ha a cuore la classe media. Ma smettiamola. That is a bunch of malarkey, sono un pugno di stupidaggini. Lo sapete che mi chiamano “middle-class Joe” a Washington, e non per farmi un complimento. Intendono che non sono sofisticato. Ma io so perché siamo forti, so perché siamo uniti: è perché abbiamo sempre avuto una grande e forte classe media. Questo tizio non ha idea di cosa sia la classe media. Non ha idea. Perché amici, quando la classe media sta bene, i ricchi stanno bene e i poveri hanno speranza, hanno una via d’uscita. Ma lui non ha idea di quello che rende grande l’America. Anzi, non ha idea e basta».

Dopo Biden ha parlato Tim Kaine, senatore della Virginia, candidato alla vicepresidenza con Hillary Clinton che per poco non era stato scelto già da Barack Obama come vice nel 2008. Kaine ha enfatizzato le sue origini popolari, il suo lavoro da missionario, il suo essere una persona normale e persino noiosa: e poi ha accusato Trump di stare prendendo in giro gli americani, anche facendogli il verso, usando anche lui un tono spiccio e da “gente comune”.

«Trump promette molte cose ma – ve ne sarete accorti – dice sempre le stesse due parole per spiegare le sue promesse: believe me, credetemi. “Saremo grandiosi, credetemi”. “Costruiremo un muro e lo faremo pagare al Messico, credetemi”. “Distruggeremo l’ISIS, credetemi”. “Non c’è niente di sospetto nelle mie dichiarazioni dei redditi, credetemi”. Tra l’altro, qualcuno qui pensa che Donald Trump abbia pagato correttamente le tasse? Non credete che Trump dovrebbe diffondere le sue dichiarazioni dei redditi come hanno fatto tutti i candidati della storia americana moderna? Certo che dovrebbe. Donald, cos’hai da nascondere? Lui risponde “credetemi”. “Credetemi”. Credetemi? Credetemi? Sapete che c’è, quando uno si candida alla presidenza, non può dire solo “credetemi”. Quando uno si candida, per rispetto degli elettori deve dire come intende fare le cose».

Poi è arrivato Barack Obama. In uno degli ultimi importanti discorsi della sua presidenza, davanti a un pubblico più che esaltato dalla sua presenza, Barack Obama ha ripercorso i risultati ottenuti in questi otto anni dalla sua amministrazione e ha argomentato che l’unico modo per non compromettere quanto conquistato è eleggere Hillary Clinton alla presidenza degli Stati Uniti. Obama ha ricordato la sua precedente rivalità con Clinton, che sconfisse alle primarie del partito nel 2008, ma anche la responsabilità con cui poco dopo accettò l’incarico di Segretario di Stato nella sua prima amministrazione; e ha detto che «non c’è mai stato un uomo o una donna più qualificato di lei per fare il presidente degli Stati Uniti d’America».

Facendo appello direttamente agli elettori Repubblicani più moderati, Obama ha citato nel suo discorso due presidenti Repubblicani – Ronald Reagan e Theodore Roosevelt – e ha detto a un certo punto: «Quello che abbiamo sentito alla convention dei Repubblicani non è stato particolarmente Repubblicano – nemmeno particolarmente conservatore. Abbiamo sentito un racconto profondamente pessimista di un paese in cui tutti combattono contro gli altri e voltano le spalle al resto del mondo. Non abbiamo sentito soluzioni ai nostri problemi: solo risentimento, accuse, rabbia e odio. E questa non è l’America che conosco».

La parte finale del discorso di Barack Obama è stata una specie di saluto: se non ancora agli Stati Uniti – nei prossimi mesi Obama intende fare campagna elettorale per Hillary Clinton – ai militanti e ai dirigenti del Partito Democratico, peraltro pronunciato nel consesso in cui tenne il famoso discorso che nel 2004 lanciò la sua carriera politica. Alla fine del discorso di Obama, moltissimi delegati erano abbracciati e commossi.

«Lasciando questo palco stasera, ho fiducia che il Partito Democratico è in buone mani. Sotto la mia guida non abbiamo risolto tutto. Per quanto abbiamo fatto, c’è molto che vorrei ancora fare. Ma per tutte le dure lezioni che ho imparato, per tutte le volte che ho fallito, l’ho detto anche a Hillary, e lo dico anche a voi, c’è una cosa che mi ha sempre rimesso in piedi. Voi. Gli americani. […]

Più volte, nel corso degli anni, mi avete rimesso in piedi. Spero, ogni tanto, di aver rimesso io in piedi voi. Stasera vi chiedo di fare per Hillary Clinton quello che avete fatto per me. Vi chiedo di trascinarla come avete trascinato me. Perché siete gli stessi di dodici anni fa, quando parlavo di speranza. Siete voi che avete alimentato la mia fiducia nel futuro, anche davanti alle difficoltà, anche quando la strada è lunga. Speranza davanti alle difficoltà, speranza davanti alle incertezze: l’audacia della speranza!

America, in questi otto anni hai indicato la speranza. Adesso sono pronto a passare il testimone e fare la mia parte da privato cittadino. Quest’anno, in questa elezione, vi chiedo di unirvi a me e respingere il cinismo e la paura, di fare appello alle cose migliori di noi, eleggere Hillary Clinton alla presidenza degli Stati Uniti e mostrare al mondo che crediamo ancora nella promessa di questo grande paese. Grazie per questo incredibile viaggio».

La convention del Partito Democratico si concluderà giovedì sera quando Hillary Clinton – che mercoledì ha raggiunto Obama sul palco alla fine del suo discorso, abbracciandolo – pronuncerà l’atteso discorso col quale accetterà formalmente la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti.