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  • Sabato 2 aprile 2016

I terremoti causati dall’uomo

Le fratturazioni idrauliche per estrarre petrolio e gas causano frequenti scosse sismiche, e non si sa ancora bene quanto siano grandi i rischi

di Joel Achenbach - Washington Post

La mappa dello U.S. Geological Survey (USGS) che mostra il rischio di terremoti naturali e provocati dall'uomo negli Stati Uniti per il 2016 (gentile concessione dello USGS)
La mappa dello U.S. Geological Survey (USGS) che mostra il rischio di terremoti naturali e provocati dall'uomo negli Stati Uniti per il 2016 (gentile concessione dello USGS)

I terremoti sono una calamità naturale, tranne quando sono causati dall’uomo. Negli Stati Uniti il settore petrolifero e quello del gas hanno adottato in modo massiccio la tecnica della fratturazione idraulica, o fracking, che serve a frantumare i cosiddetti shale, un tipo di rocce sedimentarie composte da fango e minerali argillosi che si trovano nel sottosuolo, ed estrarre petrolio e il gas di scisto. Il processo però produce una quantità incredibile di acque reflue contaminate da agenti chimici, e anche la tecnica della perforazione orizzontale per l’estrazione del petrolio può produrre un’enorme quantità di acqua naturale salata indesiderata. Gli operatori del settore smaltiscono queste acque reflue immettendole in profondi pozzi, ma provocando dei movimenti nel sottosuolo.

Lunedì 28 marzo la Geological Survey degli Stati Uniti (USGS), l’agenzia scientifica del governo che si occupa di studi sul territorio e rischi naturali, ha pubblicato per la prima volta una mappa del rischio sismico che prende in considerazione sia i terremoti naturali che quelli “indotti” dall’uomo. La mappa e il rapporto che l’accompagna evidenziano come in alcune aree nel centro degli Stati Uniti il rischio sismico sia pari a quello del suolo della California, di cui è tristemente nota l’instabilità. Secondo lo USGS circa sette milioni di persone vivono in zone esposte al rischio dei terremoti indotti. Gli stati che hanno il maggior rischio di essere colpiti da terremoti causati dall’uomo sono Oklahoma, Kansas, Texas, Arkansas, Colorado, New Mexico, Ohio e Alabama. La maggior parte di questi terremoti sono relativamente deboli, intorno a tre gradi di magnitudo, ma se ne sono registrati anche di più potenti, come il terremoto di magnitudo 5,6 in Oklahoma del 2011, legato allo smaltimento per iniezione delle acque reflue. Lunedì scorso alcuni scienziati hanno detto di non sapere se i terremoti indotti siano in grado di arrivare solo fino a un certo limite: è ancora un’area di ricerca. Nella preistoria l’Oklahoma è arrivato ad avere terremoti di magnitudo sette.

Non è ancora chiaro se la nuova ricerca porterà a un cambiamento nelle pratiche del settore. In Oklahoma, per esempio, ci sono solo uno o due terremoti naturali all’anno, ma negli ultimi dieci anni, da quando le attività di fracking e di perforazione orizzontale (e la conseguente immissione di acqua nel sottosuolo) sono diventate comuni, se ne sono registrati a centinaia. «Prendendo in considerazione anche gli eventi causati dall’uomo, la nostra valutazione del rischio sismico è aumentata sensibilmente in alcune zone degli Stati Uniti», ha detto in un comunicato Mark Petersen, capo del progetto per la mappatura del rischio sismico dell’USGS. Il rapporto, che si basa sull’attività sismica recente, è solo una valutazione del rischio per un anno. Gli scienziati sostengono che i casi di terremoti indotti del recente passato potrebbero probabilmente ripetersi nel prossimo futuro.

Le mappe precedenti dell’USGS non includevano eventi causati dall’uomo. Nel 2014, per esempio, la mappa assegnava all’area tra le città di Dallas e Fort Worth, in Texas, un rischio molto basso di terremoti naturali. Con la nuova mappa però, che tiene conto anche dei sismi indotti, l’USGS ha calcolato nell’area un rischio dieci volte superiore.

Nel gennaio del 2015 la faglia che attraversa Dallas e la vicina città di Irving ha provocato un terremoto di magnitudo 3,6, a meno di dieci chilometri di distanza da un pozzo di iniezione. Alcuni ricercatori stanno studiando quel terremoto, ha raccontato Heather R. DeShon, una sismologa della Southern Methodist University. «La nuova mappa serve per ricordare alle popolazioni locali nelle aree recentemente colpite da sismi che è meglio essere pronti a sentire la terra tremare di nuovo», ha detto DeShon, che non ha partecipato al progetto. Secondo il Dallas Morning News uno studio non ancora pubblicato dell’ente federale per la gestione delle emergenze degli Stati Uniti mostrerebbe come nello scenario peggiore un terremoto di magnitudo 5,6 a Dallas potrebbe danneggiare 80mila edifici, farebbe crollare gli argini e provocherebbe danni per 9,5 miliardi di dollari. L’elemento più notevole della nuova mappa dell’USGS è la macchia rosso scuro nell’area a centro-nord dell’Oklahoma, che quest’anno è già stata colpita da un terremoto di magnitudo 5,1. «Il mio primo pensiero è stato: “Oddio, l’Oklahoma e più rosso della California”», ha scritto in un’email la geologa dello USGS Susan Hough dopo aver visto la mappa della sua agenzia per la prima volta lunedì scorso.

Calcolare il rischio sismico di un’area specifica in un dato momento è difficile, anche perché i terremoti naturali sono imprevedibili. Come lo è il settore petrolifero e del gas. Con il calo del prezzo del petrolio, di recente le aziende specializzate hanno diminuito le perforazioni. Il calo di produzione potrebbe spiegare la diminuzione del numero di terremoti negli ultimi mesi, ha detto Rex Buchanan, direttore del Kansas Geological Survey, un dipartimento di ricerca della University of Kansas. Secondo Buchanan, anche le nuove norme degli stati americani per la gestione dello smaltimento delle acque reflue potrebbero essere utili.

Salvo poche eccezioni, le regioni centrali e orientali degli Stati Uniti non sono solitamente considerate zone sismiche. Ma questo non significa che non ci siano delle faglie anche nel sottosuolo delle regioni più calme. «Le faglie sono praticamente dappertutto. Gli Stati Uniti si sono formati nel corso di oltre un miliardo di anni, e durante il processo di formazione sono state prodotte moltissime faglie», ha raccontato Michael Blanpied, coordinatore associato dello Earthquake Hazards Program dello USGS. I liquidi immessi nei profondi pozzi di iniezione non lubrificano le faglie, ma piuttosto aumentano la pressione esercitata su di loro separandone le pareti, ha sottolineato Blanpied.

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