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  • Martedì 6 ottobre 2015

Chi portò Michael Jordan alla Nike?

Tra i dirigenti Nike circolano molte versioni diverse: dopo più di trent'anni in tanti reclamano il merito di una delle sponsorizzazioni sportive più fruttuose di sempre

Michael Jordan con una sneaker della linea Air Jordan (AP Photo/Anat Givon)
Michael Jordan con una sneaker della linea Air Jordan (AP Photo/Anat Givon)

La sezione dello sport di USA Today ha provato a ricostruire la vicenda che portò alla firma di Michael Jordan, probabilmente il giocatore di basket più famoso di sempre, con la Nike: un contratto considerato storico nel rapporto tra atleti e marchi di abbigliamento sportivo. Firmato nel 1984, il contratto ha portato alla nascita di “Air Jordan” (“Air” dal soprannome di Michael Jordan), la famosa linea di abbigliamento e calzature Nike pensata per i giocatori di pallacanestro che ancora oggi fattura per la l’azienda 2 miliardi di dollari all’anno e ha fatto di Jordan un’icona del marchio.

I protagonisti della vicenda sono:

– Michael Jordan, ovviamente;
– George Raveling, ex secondo allenatore della squadra statunitense di basket alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, oggi dirigente Nike;
– Phil Knight, co-fondatore e presidente di Nike;
– Sonny Vaccaro, ex consulente per il basket di Nike;
– Peter Moore e Rob Strasser, entrambi ex dirigenti marketing di Nike.

La storia inizia più di trent’anni fa, nel 1984, quando Michael Jordan giocò la sua ultima stagione nel campionato universitario, all’università del North Carolina e partecipò alle Olimpiadi di Los Angeles, convocato dall’allenatore Bob Knight nella nazionale; poco prima del suo debutto con i Chicago Bulls nell’NBA, il massimo campionato di basket degli Stati Uniti. Questo almeno è quello su cui tutti gli interessati sono d’accordo: sul resto ognuno dei protagonisti ha una personale opinione su come siano andate le cose.

In particolare è contestato il ruolo di Sonny Vaccaro, che in un documentario trasmesso su ESPN si è attribuito il merito di aver portato Michael Jordan al contratto con Nike. In un’intervista a Usa Today, la prima dopo l’annuncio che si sarebbe ritirato dall’incarico di presidente di Nike l’anno prossimo, Phil Knight invece ha detto: «Riguardo l’ingaggio di Michael Jordan, beh: il successo ha migliaia di padri mentre il fallimento è orfano». Per aggiungere poi che Vaccaro ha sì dato una mano, ma non è stato il protagonista fondamentale di quell’accordo come sostiene. Knight attribuisce il risultato più a Rob Strasser e Peter Moore. Strasser è morto; Moore lo attribuisce invece a Vaccaro e a Strasser. Jordan, invece, dice che fu tutto merito di Raveling (che è decisamente d’accordo con lui).

La versione di Michael Jordan

Jordan racconta di non essere mai stato particolarmente attratto da Nike e dalle sue scarpe, anzi, di non averle proprio mai indossate prima di firmare il contratto. Si considerava più “un tipo da Adidas o Converse”, che a quel tempo erano le marche che andavano per la maggiore nel basket. In quel periodo Nike aveva già sotto contratto diversi giocatori importanti, come George “The Iceman” Gervin e Truck Robinson, eppure Nike non era ancora associata al basket ma solo alla corsa: il marchio a cui ambire per i giocatori era piuttosto Converse, che vantava gente del calibro di Julius “Dr J” Erving.

A Usa Today Jordan ha detto che a convincerlo a prendere in considerazione Nike fu Raveling, a quel tempo vice allenatore della squadra olimpica in cui era stato convocato e anche allenatore della squadra di basket dell’Università dell’Iowa, in qualità della quale aveva firmato un contratto di sponsorizzazione con Nike. Durante la preparazione alle Olimpiadi, fu Raveling a insistere con Jordan perché incontrasse Vaccaro, che all’epoca era il consulente della sezione basket per Nike. Dopo quell’incontro però Jordan non cambiò idea. Le sue intenzioni cambiarono solo dopo aver visitato la sede generale di Nike a Beaverton, Oregon, dove Strasser, Moore e Vaccaro gli illustrarono il progetto e Jordan se ne innamorò. Jordan però è certo nell’attribuire il merito dell’accordo alle insistenze di Ravelling e nel considerare Vaccaro solo un tramite.

La versione di George Ravelling

Coincide praticamente con quella di Jordan, aggiungendo alcuni particolari. Ravelling ha spiegato a Usa Today – “per dovere di accuratezza” – che fu Sonny Vaccaro a chiedere di fissare un incontro con Jordan. Raveling però si attribuisce il merito, fondamentale, di aver vinto più volte la riluttanza di Jordan: come sappiamo l’incontro avvenne, a Santa Monica, e sempre Ravelling avrebbe consigliato a Nike di non mollare la presa e insistere per invitarlo a visitare la sede dell’azienda.

Fuori dalla trama principale, ma che potrebbe aiutare la comprensione dei meccanismi contigenti, c’è anche il fatto che Vaccaro e Ravelling erano molto amici in quel periodo, tant’è che Ravelling gli fece da testimone al suo primo matrimonio; i loro rapporti si incrinarono nel 1990 per delle discussioni relative al reclutamento del giocatore di basket Ed O’Bannon, una delle promesse delle scuole superiori di quel tempo.

La versione di Sonny Vaccaro

Sostanzialmente la versione di Sonny Vaccaro riportata a Usa Today è che «Knight mente, Michael mente ancora di più, Raveling è matto» e tutti e tre vogliono distruggerlo. Vaccaro si definisce il salvatore di Nike.

Vaccaro arrivò in Nike nel 1977 e fu uno dei responsabili della strategia di sponsorizzazione delle squadre universitarie americane, quando Nike convinse 80 allenatori (tra cui appunto Raveling) a sponsorizzare squadre e giocatori con i prodotti Nike. Vaccaro racconta che nel 1984 Nike aveva già firmato contratti con giocatori dei college pronti per il professionismo (Hakeem Olajuwon, Charles Barkley e John Stockton, per esempio): nessuno voleva in particolare modo Jordan, né si sapeva ancora che avrebbe giocato con i Chicago Bulls, ma lui insistette perché Nike spendesse tutto il budget per il giocatore della North Carolina, perché aveva avuto un’intuizione.

Fu effettivamente lui – tutte le versioni coincidono su questo dettaglio – a scegliere Michael Jordan e fare con lui il primo colloquio. Lo stesso Jordan ha detto di aver avuto l’impressione che Strasser non sapesse che tipo di persona e giocatore fosse allora, ma che stesse semplicemente cercando qualcuno su cui puntare.

La storia di Vaccaro con Nike ha però anche un retroscena più ingombrante: Vaccaro fu licenziato da Nike nel 1991, senza spiegazioni pubbliche, e in seguito a quell’episodio raggiunse Strasser e Moore in Adidas: a loro volta se ne erano andati da Nike qualche anno prima. Vaccaro ha anche detto che dopo esser stato licenziato l’FBI indagò su di lui per spionaggio aziendale: nessuna accusa è stata catalogata e l’FBI dice di non potere rilasciare informazioni sul caso. Vaccaro ha anche raccontato di quando accompagnò Jordan da Strasser e Moore, che già lavoravano da Adidas e volevano proporgli un contratto: una situazione imbarazzante, dato che lavorava per Nike e non per Jordan, ma segno di come abbia sempre tenuto più al giocatore che all’azienda, in ragione del fatto che fu lui a portarlo lì e che negli anni passati da entrambi in Nike crearono un rapporto molto intimo. Oggi i due non hanno più rapporti.

La versione di Peter Moore

Moore dà ragione a Vaccaro. In una mail inviata sempre a Usa Today spiega che è tipico di Nike sentire versioni diverse di una storia, a seconda di chi la racconti.

Secondo Moore, Knight ha ragione a metà: Strasser ebbe un ruolo decisivo, perché fu colui che convinse tutti che Nike aveva bisogno di un’icona del basket, intuendo che quel mercato apriva una grande opportunità. Vaccaro fu però il secondo elemento decisivo: fu lui a scegliere Jordan tra tutti i ragazzi che giocavano nei college e che erano sotto osservazione. Moore dice che furono Strasser e Vaccaro a parlare con Jordan e i suoi genitori, convincendolo a firmare con Nike e rendendolo così l’icona del marchio che sarebbe diventato negli anni.

Secondo Moore senza Vaccaro non ci sarebbe Air Jordan, insomma: non solo Nike non avrebbe firmato con lui, ma probabilmente non l’avrebbe nemmeno inseguito, scegliendo probabilmente Patrick Ewing.