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  • Domenica 27 settembre 2015

Il caso dello scafista ucciso in Libia

La stampa libica e il governo di Tripoli accusano le forze speciali italiane dell'assassinio di Salah al Maskhout (che però forse non è nemmeno morto): l'Italia ha smentito tutto

(AP Photo/Gregorio Borgia)
(AP Photo/Gregorio Borgia)

Venerdì 25 settembre intorno alle sette di mattina un uomo accompagnato da una scorta armata di fucili d’assalto è stato ucciso in un agguato a Tripoli, in Libia, poco lontano dall’ospedale cittadino. All’apparenza quello che è successo non è particolarmente inusuale: da anni la Libia è uno stato senza leggi, dove bande di miliziani, criminali comuni e jihadisti si scontrano gli uni contro gli altri. Del caso, tuttavia, si sta parlando molto anche sulla stampa italiana a causa di due particolari forniti dai giornali libici e ripresi anche dal governo libico di Tripoli, quello controllato da una coalizione di forze islamiste chiamata “Alba della Libia” (in Libia ci sono due governi: quello di Tripoli e quello di Tobruk, nell’est del paese, riconosciuto dalla maggior parte della comunità internazionale). Secondo i libici, l’uomo ucciso è un importante trafficante di esseri umani e ad ucciderlo è stato un commando italiano di uomini armati. Il governo italiano ha smentito le accuse, ma ci sono ancora molte cose poco chiare.

La storia dall’inizio
Venerdì 25 settembre il Libya Herald, il principale giornale libico in lingua inglese, ha dato la notizia dell’uccisione a Tripoli di Salah al Maskhout, un leader delle milizie coinvolte nel traffico di migranti dalla Libia all’Italia. Il Libya Herald ha raccontato anche diversi dettagli dell’agguato: ha scritto che Maskhout è stato fermato da un gruppo di uomini armati mentre si trovava a bordo della sua auto, mentre si stava allontanando dall’ospedale di Tripoli. Gli assalitori prima hanno cercato di catturarlo vivo e poi lo hanno ucciso insieme alla sua scorta. Secondo il Libya Herald, gli assalitori hanno agito in maniera molto professionale: armati solo di pistole, sono riusciti a neutralizzare la scorta del trafficante armata di fucili d’assalto, senza che nessuno di loro rimanesse ucciso o ferito.

Alle 23 del 25 settembre, James Wheeler, un giornalista freelance con molti contatti in Libia, ha pubblicato questo tweet.

Anche secondo alcune fonti consultate da Wheeler, Maskhout è stato ucciso da un commando di italiani. Il giorno dopo, il sito in lingua araba Afrigate, ha aggiunto altri particolari alla storia che sembravano in parte confermare la versione di Wheeler. Secondo Afrigate, i medici legali dell’ospedale di Tripoli hanno detto che Maskhout e la sua scorta sono stati uccisi con proiettili calibro 9 di un tipo particolare piuttosto raro in Libia, ma molto diffuso tra la polizia, gli eserciti e le forze speciali di Stati Uniti ed Europa. Nel pomeriggio dello stesso giorno il governo di Tripoli, uno dei due governi rivali che si contendono il potere nel paese, ha accusato l’Italia di aver condotto l’attacco.

I dubbi
Sabato la notizia è arrivata sui primi quotidiani internazionali, come il Guardian, ed è stata poi ripresa anche da alcuni quotidiani italiani. Il Guardian ha contattato il ministero della Difesa italiano che ha detto di non essere coinvolto, ma ha confermato la morte di Salah al Maskhout. Ansa scrive che anche il ministero degli Esteri e l’intelligence italiani hanno smentito le accuse. Nel frattempo sui social network diversi utenti hanno cominciato a pubblicare post in cui i familiari di Maskhout sostenevano che l’uomo fosse vivo e non avesse subìto alcun genere di agguato. Alcuni giornalisti e testate libiche hanno trovato diverse conferme del fatto che Maskhout fosse vivo. Alla fine, sabato sera, il sito MigranReport è riuscito a parlare con lo stesso Maskhout mentre si trovava nella sua casa di Zuwara, in Libia. Maskhout, 47 anni, dice di lavorare nell’importazione alimentare e di non avere nulla a che fare con il traffico di migranti.

Al momento l’unica certezza di questa storia è che un uomo protetto da una scorta è stato ucciso a Tripoli la mattina di venerdì 25. Non si sa perché e non si ha nemmeno la certezza sulla sua identità. Ci sono però diverse ragioni per ritenere che gli italiani non c’entrino nulla con tutta questa storia e il sito MigrantReport ha spiegato le due principali. La prima è che l’Italia lavora da mesi “dietro le quinte” per ottenere una riconciliazione tra i due governi libici, in modo da permettere un intervento in Libia che possa ridurre il flusso illegale di migranti verso le coste italiane. Un’azione militare sul suolo libico senza il consenso dei due governi rischierebbe di mandare all’aria mesi di trattative. La seconda ragione è che a poca distanza da Zuwara c’è Mellitah, un importante impianto dell’ENI, non molto lontano da dove alcuni mesi fa sono stati rapiti quattro tecnici italiani. Mettersi in conflitto con i leader locali delle milizie libiche significherebbe esporre l’importante impianto a possibili rappresaglie.