Le bombe davanti alla scuola di Brindisi

La storia dell'attentato che causò la morte di una studentessa, del processo contro l'unico imputato e di come è andata a finire

L'ingresso principale dell'istituto professionale IPSSS "Morvillo Falcone", dove è avvenuta l'esplosione.
(LaPresse)
L'ingresso principale dell'istituto professionale IPSSS "Morvillo Falcone", dove è avvenuta l'esplosione. (LaPresse)

Il 19 maggio 2012 tre bombe artigianali furono fatte esplodere fuori dalla scuola superiore Morvillo Falcone di Brindisi, in Puglia, causando la morte di una studentessa, Melissa Bassi, e il ferimento di altre 10 persone. Questa è la storia di quanto è accaduto quel giorno, del responsabile dell’attentato, delle indagini e di come è finito il processo a suo carico.

Cosa è successo
Il 19 maggio 2012, intorno alle 7.45 del mattino, ci furono alcune esplosioni vicino all’istituto professionale per i servizi sociali “Francesca Laura Morvillo Falcone” di Brindisi, in Puglia. Le esplosioni furono causate da tre bombole riempite di nitrato di sodio, carbone e zolfo, messe in un cassonetto della raccolta differenziata a poca distanza dall’entrata della scuola e azionate da un telecomando.

Le esplosioni investirono alcuni studenti che erano appena scesi da un autobus. Nell’attentato morì una studentessa dell’istituto, Melissa Bassi, che aveva 16 anni ed era di Mesagne. Altre cinque studentesse rimasero ferite, con ustioni anche molto gravi e lesioni causate dalle schegge di metallo prodotte dall’esplosione. Cinque persone furono ferite in modo lieve.

Le indagini
Meno di due ore dopo le esplosioni l’allora neoeletto sindaco di Brindisi, Mimmo Consales, parlò esplicitamente di “un attacco della criminalità organizzata”. Questa ipotesi era sostenuta dal fatto che la scuola fosse dedicata alla moglie del giudice Giovanni Falcone, morta con lui nella strage di Capaci – di cui quattro giorni dopo sarebbe ricorso il ventesimo anniversario – e dal passaggio per Brindisi, il giorno successivo, di una manifestazione antimafia promossa dall’associazione Libera. Una decina di giorni prima, inoltre, un’operazione di polizia contro la criminalità organizzata si era conclusa con una ventina di arresti.

Quello stesso giorno ci furono diverse manifestazioni spontanee contro la mafia e di solidarietà nei confronti della popolazione brindisina in molte città italiane. L’ipotesi, però, si rivelò sbagliata il giorno successivo: il procuratore capo di Brindisi Marco Dinapoli disse in conferenza stampa che esisteva un video dell’attentatore: disse anche che si trattava del gesto “terroristico” di “una persona isolata”.

Il presunto attentatore fu arrestato la sera del 6 giugno 2012 e da allora è in carcere. Il suo nome è Giovanni Vantaggiato, ha 71 anni, è sposato e ha due figli; lavorava come commerciante di carburanti agricoli ed era proprietario di un deposito di carburanti a Copertino, in provincia di Lecce.

Il processo
Nel primo interrogatorio, Giovanni Vantaggiato disse al procuratore Cataldo Motta di non avere nulla a che fare con quanto era successo e aggiunse di essere rimasto a casa con la moglie, Giuseppina Marchello. In seguito Vantaggiato cambiò versione e ammise di essere il responsabile dell’attentato. Non fu in grado di spiegare compiutamente le sue motivazioni: «non ho una vera ragione» disse, ma raccontò agli inquirenti di come avesse imparato a costruire la bomba artigianale e di come effettivamente l’aveva costruita; raccontò di aver comprato in diversi momenti la polvere pirica, i cavi elettrici, la batteria e il telecomando: «ho acquistato il telecomando da un impiantista da me scelto sulle Pagine Gialle, un impiantista che si trova in un paese tra Copertino e Maglie, non ricordo esattamente il nome del paese».

Il processo iniziò a gennaio 2013 e si unì a quello precedentemente avviato, sempre a suo carico, per il tentato omicidio di un ex socio, Cosimo Parato. Unico imputato, contro di lui ci furono quattro capi di accusa: strage con finalità terroristica, lesioni personali con l’aggravante di aver colpito minorenni, fabbricazione, detenzione, trasporto ed esplosione in luogo pubblico di armi da guerra e congegni micidiali, e infine tentato omicidio di Cosimo Parato con l’aggravante della premeditazione.

Nonostante l’incertezza della sua deposizione, soprattutto riguardo il movente, la meticolosità con cui Vantaggiato costruì la bomba fu considerata un segnale della sua capacità di intendere e di volere e soprattutto di premeditazione, elemento che rafforzò l’accusa di strage terroristica. La moglie fu chiamata a testimoniare ma si avvalse della facoltà di non rispondere.

Secondo i giudici, il movente di Vantaggiato fu la rabbia accumulata nei confronti di una giustizia inefficiente che non l’avrebbe tutelato abbastanza nel caso del processo contro Cosimo Parato. Proprio per questo, ha sostenuto l’accusa, Vantaggiato aveva scelto come obiettivo dell’attentato la scuola Morvillo Falcone: per il valore storico-politico del nome dell’istituto e per la sua vicinanza al tribunale. Il 18 giugno 2013 la Corte d’Assise di Brindisi ha condannato all’ergastolo Vantaggiato. La sentenza d’appello dell’anno successivo ha confermato la condanna: Vantaggiato è stato condannato all’ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno e al risarcimento delle parti civili (i genitori di Bassi, quelli delle altre ragazze ferite nell’attentato, il ministero della pubblica Istruzione, il Comune e la Provincia di Brindisi). Successivamente la sentenza d’appello non è più stata impugnata e il 6 novembre 2014 è diventata definitiva e irrevocabile.

Cosa succede oggi
Negli anni sono state organizzate diverse iniziative per ricordare Melissa Bassi: un torneo di calcio il cui ricavato viene devoluto in beneficenza, l’intitolazione di un’aula della scuola (durante una cerimonia di commemorazione a cui ha preso parte oggi anche Angela D’Onghia, sottosegretario all’Istruzione) e l’intitolazione della via di Mesagne – piccolo paese vicino a Brindisi – che ogni mattina Melissa Bassi percorreva per andare a scuola.