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  • Domenica 19 aprile 2015

Il più grande investimento estero della Cina

Xi Jinping annuncerà domani un piano da 40 miliardi di euro di infrastrutture in Pakistan: servirà a rafforzare l'amicizia tra i due paesi e a stabilizzare l'Asia Centrale

Lunedì il presidente cinese Xi Jinping annuncerà un piano per la costruzione di più di 40 miliardi di euro di infrastrutture in Pakistan: si tratta del più grande investimento estero mai compiuto della Cina e consisterà per circa due terzi nella costruzione di centrali elettriche, e per il resto nella realizzazione di una strada che dal confine tra Cina e Pakistan arriverà fino al porto di Gwadar, sull’Oceano Indiano. Si tratta di un progetto estremamente ambizioso che ha come uno dei suoi obiettivi quello di portare prosperità economica e stabilità politica nell’intera area dell’Asia Centrale. Quella tra Pakistan e Cina non è solo un’alleanza economica: i due paesi intrattengono importanti relazioni politiche da più di mezzo secolo.

Il nemico del mio nemico
Nel 1951 il Pakistan fu tra i primi paesi a riconoscere il governo comunista come il legittimo rappresentante del popolo cinese: gran parte del resto del mondo, all’epoca, riconosceva solo il governo nazionalista che controllava l’isola di Taiwan. Fu però solo 10 anni dopo che le relazioni tra Cina e Pakistan cominciarono a diventare rilevanti: «Il nemico del mio nemico è mio amico» è forse la frase che meglio descrive le ragioni dell’alleanza. Nel 1962 la Cina entrò in guerra con l’India, allora come oggi il principale rivale del Pakistan. La guerra cominciò per via di alcune dispute di confine sulla catena del Karakorum. In meno di un mese i soldati cinesi, acclimatati dopo mesi di addestramento all’aria rarefatta della catena montuosa, riuscirono a sconfiggere i coscritti indiani inviati in tutta fretta dalla pianura.

Il Pakistan cedette immediatamente i territori montuosi che la Cina rivendicava come suoi e in cambio ottenne un rapido miglioramento delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. I pakistani ottennero un utile contrappeso al potere dell’India, e i cinesi guadagnarono un partner commerciale oltre che un alleato, in grado di aiutarli nei rapporti con il mondo musulmano e con il resto della comunità internazionale. Uno degli effetti principali dell’alleanza tra Pakistan e India si sarebbe vista dieci anni dopo: nel 1972, grazie alla mediazione pakistana, il presidente Richard Nixon visitò la Cina cominciando il disgelo delle relazioni tra i due paesi e preparando il ritorno della Cina nella comunità internazionale.

Nel corso degli ultimi cinquant’anni le relazioni tra Cina e Pakistan si sono rafforzate. Oggi il Pakistan è il principale acquirente di armi cinesi (il 47 per cento del totale) e i sondaggi indicano che i cinesi hanno una buona opinione del Pakistan (inferiore soltanto all’opinione che hanno della Cina) e viceversa. Nello sviluppo ulteriore delle relazioni bilaterali ci sono però tre problemi. Primo: Pakistan e Cina sono divisi da una delle catene montuose più aspre e alte del mondo che ostacolano le comunicazioni e il trasporto di merci. Secondo: il Pakistan è da anni un paese instabile, costantemente minacciato dagli estremisti islamici. Terzo: la regione cinese che confina con il Pakistan, lo Xinjang, è abitato da una grossa fetta di musulmani sempre meno inclini ad accettare la dominazione cinese. Secondo i cinesi, il gigantesco piano di investimenti è il modo più semplice, anche se non proprio economico, di risolvere in parte questi tre problemi.

La “nuova via della seta”
Il presidente cinese ha descritto il nuovo progetto come una “nuova via della seta”, l’antica strada carovaniera che collegava la Cina con i porti del Mediterraneo orientale e attraverso la quale i tessuti cinesi riuscivano a raggiungere i mercati europei (fu la via che percorse il famoso mercante veneziano Marco Polo nel Tredicesimo secolo): si tratta di un termine che già in passato è stato molto usato per indicare progetti simili – anche se più piccoli – che hanno coinvolto i paesi dell’Asia Centrale. In realtà la parte più grossa dell’investimento – due terzi circa – non avrà a che fare direttamente con le strade, ma riguarderà la costruzione di molte centrali a carbone e idroelettriche che nel giro di una decina di anni dovrebbero portare a raddoppiare la produzione energetica pakistana (oggi il paese subisce continui blackout a causa dell’insufficienza della sua attuale produzione elettrica).

Al momento, meno di 10 miliardi di euro del piano sono destinati alla costruzione dell’imponente strada e dei miglioramenti ferroviari che hanno evocato l’immagine dell’antica via della seta. La grande strada comincerà a Kashgar, nello Xinjang cinese e scenderà verso sud fino al confine con il Pakistan da dove proseguirà fino alla capitale, Islamabad. Lì si dividerà in due tronconi che toccheranno tutte le principali città del paese: Lahore, Hyderabad e Karachi a est; a ovest: Peshawar, Quetta e il porto di Gwadar, la chiave dell’intero progetto. Il porto di Gwadar è il prodotto di un investimento cinese realizzato negli scorsi anni. È gestito da una compagnia statale cinese e dovrebbe cominciare ad essere operativo da quest’anno.

Gwadar si trova sull’Oceano Indiano e nella mente dei progettisti cinesi dovrebbe rappresentare una soluzione rapida e veloce per trasportare verso occidente tutte le merci prodotte nella Cina centrale e occidentale. Ad oggi l’unico modo di spedire all’estero queste merci è trasportarle fino ai porti sulla costa orientale e poi fargli compiere un lunghissimo giro attraverso lo stretto di Malacca, costeggiando tutta l’India. Trasportando le merci a Gwadar sarà in teoria possibile inviarle verso occidente risparmiandosi gran parte della rotta marittima. Ed è vero anche il contrario: il petrolio mediorientale potrà essere scaricato a Gwadar e da lì inviato in Cina, invece che seguire la lunga rotta marittima, dove le navi rischiano di essere attaccate dai pirati.

Gli effetti indiretti del piano, però, sono ancora più importanti dei benefici economici immediati. La speranza dei cinesi è che questo gigantesco piano produca il necessario stimolo a rimettere in moto l’economia pakistana e con lei quella del suo vicino Afghanistan, e anche dell’intera Asia Centrale. La crescita economica, sperano i cinesi, genererà a sua volta stabilità politica. L’Asia centrale diventerà così un mercato prolifico e molto vicino ai confini cinesi. Un’area stabile dovrebbe a sua volta aiutare i cinesi nella stabilizzazione dello Xinjang e della sua minoranza musulmana.

Come finirà
Il Wall Street Journal ha scritto che il piano cinese rappresenta una sorta di sfida diretta agli Stati Uniti, che negli ultimi anni sono stati la principale potenza a tentare di stabilizzare l’area. Lo strumento più utilizzato dagli americani, oltre agli aiuti militari per mantenere in piedi il governo pakistano, è stato quello degli aiuti internazionali pari a cinque miliardi di dollari negli ultimi cinque anni. I cinesi non solo hanno deciso di utilizzare una strategia diversa, cioè investimenti commerciali o prestiti, ma hanno anche deciso di portarli a una scala molto più ampia di quella tentata dagli Stati Uniti.

La strategia americana non ha portato molti risultati in termini di stabilità per la regione, ma non è detto che quella cinese ne porterà di maggiori. Il piano è ambizioso e, sulla carta, ben finanziato. Ma come in tutte le grandi opere, molte cose possono andare storte. Le montagne del Pakistan sono tra le più difficili del mondo, il paese è cronicamente instabile e la sicurezza dei lavoratori cinesi che saranno impiegati nel progetto è una delle principali preoccupazioni del governo di Pechino. Il governo pakistano ha promesso la creazione di una nuova forza di sicurezza formata da migliaia di uomini, ma fino ad ora le forze di sicurezza pakistane non si sono dimostrate troppo abili nel bloccare gli attacchi degli estremisti (e i servizi segreti pakistani sono sembrati diverse volte avere un rapporto molto ambiguo con i più radicali).