• Mondo
  • Martedì 9 luglio 2013

I guai di Al Jazeera in Egitto

22 giornalisti si sono dimessi - accusano l'azienda di parteggiare per i Fratelli Musulmani - e sono arrivati volantini piuttosto minacciosi alla sede della tv al Cairo

A Qatari employee of Al Jazeera Arabic language TV news channel passes by the logo of Al Jazeera in Doha, Qatar, Wednesday Nov. 1, 2006. The English language offshoot of Qatar based pan-Arab television news channel Al Jazeera said on Tuesday it will start broadcasting on November 15, 2006. (AP Photo/Kamran Jebreili)
A Qatari employee of Al Jazeera Arabic language TV news channel passes by the logo of Al Jazeera in Doha, Qatar, Wednesday Nov. 1, 2006. The English language offshoot of Qatar based pan-Arab television news channel Al Jazeera said on Tuesday it will start broadcasting on November 15, 2006. (AP Photo/Kamran Jebreili)

Lunedì 8 luglio ventidue giornalisti del canale televisivo Al Jazeera, di proprietà del Qatar, si sono dimessi accusando la rete di raccontare gli eventi in Egitto in maniera parziale e lontana dalla realtà. Come ha scritto il quotidiano degli Emirati Arabi Uniti Gulf News, Al Jazeera avrebbe detto ai suoi giornalisti di raccontare quello che sta succedendo in Egitto – dalle grandi manifestazioni anti-governative di domenica 30 giugno passando per la deposizione di Morsi e la strage di lunedì al Cairo – favorendo le posizioni dei Fratelli Musulmani, il movimento politico a cui fa riferimento Morsi: raccontando alcune notizie e lasciandone perdere altre, ha spiegato uno dei 22 giornalisti che se ne sono andati.

Questa vicenda è l’ultima di una serie di episodi, iniziati con le cosiddette “primavere arabe”, che hanno messo in discussione la credibilità e l’indipendenza di Al Jazeera, considerata il più libero dei media mediorientali. Nel corso degli ultimi anni Al Jazeera è stata accusata di essere uno strumento politico dell’emiro del Qatar, che secondo i critici userebbe il trattamento delle notizie per contrattare vantaggi e favori politici da parte di altri stati del Medio Oriente e degli Stati Uniti. In passato era già successo che alcuni giornalisti si dimettessero lamentando la scarsa indipendenza e autonomia dalla redazione centrale di Doha, in Qatar.

Cosa hanno detto i giornalisti che si sono dimessi
Wessam Fadel, inviato di Al Jazeera al Cairo, ha scritto domenica sulla sua pagina Facebook di essersi dimesso per via della “mancanza di neutralità” della sua rete. Fadel ha descritto il ruolo di Al Jazeera in Egitto come «credibile, ma con una credibilità basata su una posizione politica deprecabile». Fadel ha raccontato anche diverse cose sulle dirette che Al Jazeera ha trasmesso da piazza Tahrir, il centro delle proteste anti-Morsi di questi ultimi giorni: sostiene che in certi momenti Al Jazeera abbia mostrato la piazza vuota (quando invece era piena di gente) utilizzando immagini di repertorio. Gli oppositori di Morsi non vedono di buon occhio Al Jazeera almeno dal 2011, quando il canale sostenne – mai esplicitamente, ma secondo molti evidentemente – le rivolte contro l’ex presidente Hosni Mubarak. Fadel ha scritto su Facebook: «Il canale si è rifiutato di mostrare le interviste che avevamo fatto a Tahrir, nonostante gli insulti che ci eravamo presi per il solo fatto di tenere in mano i microfoni di Al Jazeera».

Un caso particolare, e anche piuttosto raro, è quello del giornalista Hagag Salama, inviato a Luxor. Salama, che lavora per Al Jazeera dal 2003, si è dimesso in diretta televisiva lunedì mattina durante una trasmissione di Dream TV. Intervistato per telefono dalla conduttrice del programma, Salama ha accusato Al Jazeera di mancanza di professionalità, di parteggiare per i Fratelli Musulmani e di incitare gli egiziani a fare una guerra civile.

Tra i giornalisti che si sono dimessi c’è anche Karem Mahmoud, che ha lavorato dal 2011 per Al Jazeera Mubashir Misr, cioè il canale live in arabo. In un’intervista al magazine Cairo Scene, Mahmoud ha detto:

«In termini di copertura è diventato evidente nelle ultime settimane che il canale nel suo complesso ha adottato un orientamento politico che indebolisce tutto ciò che ci viene insegnato a fare come giornalisti, e non è quello che io ritengo essere giusto. Questa alleanza con un partito ha esacerbato la situazione in Egitto, piuttosto che migliorarla»

I problemi di Al Jazeera dell’ultima settimana
Le forze di sicurezza egiziane sono entrate due volte in meno di una settimana nella sede egiziana di Al Jazeera al Cairo. Tre giornalisti sono stati arrestati – poi tutti rilasciati – incluso Abdul-Fattah Fayed, il capo dell’ufficio di Al Jazeera al Cairo, che è stato liberato dopo avere pagato una cauzione di 10mila lire egiziane, equivalenti a poco più di 1000 euro. A quella stessa sede del Cairo sono arrivati anche altri tipi di messaggi. Rawya Rageh, giornalista di Al Jazeera al Cairo, ha twittato la foto di due volantini trovati vicino agli uffici. Nel primo si vede l’immagine di una mano insanguinata, con a fianco la scritta “bugie e altre bugie”.

Nel secondo c’è il simbolo di Al Jazeera con sopra la scritta: “Un proiettile può uccidere una persona, una macchina fotografica che mostra un’immagine falsa uccide una nazione”.

 

Nel frattempo Al Jazeera è stata accusata da diversi altri giornalisti di raccontare in maniera parziale gli eventi in Egitto. L’episodio più discusso è stato il racconto della strage che si è verificata nella notte tra domenica e lunedì di fronte alla sede della guardia repubblicana al Cairo, dove i sostenitori dei Fratelli Musulmani credono si possa trovare Morsi. Al Jazeera, nel suo liveblog, ha pubblicato e segnalato diverse foto e video che mostravano immagini anche molto violente e crude dei manifestanti pro-Morsi feriti e morti a causa dell’attacco dei militari. Lunedì, durante una conferenza stampa dell’esercito che si è tenuta dopo la strage, uno dei giornalisti presenti si è alzato in piedi chiedendo l’allontanamento dei reporter di Al Jazeera dalla stanza. La sua richiesta, ha raccontato Associated Press, è stata sostenuta anche da altri giornalisti presenti, che hanno accusato il canale di fare informazione parziale e di provocare altra violenza nel paese.

Al Jazeera dalla guerra in Siria alle primavere arabe
Nel 2010 il Guardian pubblicò un rapporto dell’ambasciata statunitense, ottenuto da Wikileaks, che accusava il Qatar di usare il canale televisivo Al Jazeera come “strumento di contrattazione” – il rapporto era intitolato proprio così. Era datato novembre 2009 e diceva che il Qatar aveva negoziato – o aveva tentato di negoziare – con i paesi mediorientali e con gli stessi Stati Uniti garantendo minore o maggiore copertura di una notizia in cambio di concessioni e favori.

All’inizio del 2011, con l’inizio delle prime cosiddette “primavere arabe”, diversi giornalisti cominciarono a scrivere che Al Jazeera aveva in qualche maniera contribuito alla veloce diffusione delle proteste da un paese all’altro del Nordafrica. Nel gennaio 2011 Marc Lynch, professore di studi sul Medio Oriente alla George Washington University, disse: «Loro [i giornalisti di Al Jazeera] non hanno causato questi eventi, ma è quasi impossibile immaginare che tutto questo potesse succedere senza Al Jazeera». Fu proprio con le proteste in Egitto che in molti riconobbero un ruolo politico, oltre che giornalistico, di Al Jazeera. La rete si schierò più o meno apertamente dalla parte dei manifestanti che chiedevano la destituzione dell’ex presidente Hosni Mubarak, e che erano di orientamento “panarabo”, proprio come i Fratelli Musulmani.

Già negli anni passati, comunque, alcuni giornalisti si erano dimessi da Al Jazeera per gli stessi motivi che hanno provocato le dimissioni in blocco di lunedì. Nel marzo 2012 l’inviato di Al Jazeera Arabic a Beirut, Ali Hashem, si dimise da Al Jazeera senza spiegarne i motivi. Dopo pochi giorni il giornale libanese Al Akhbar – considerato da molti vicino al movimento estremista sciita Hezbollah – scrisse che Hashem era contrario al modo in cui Al Jazeera stava coprendo gli eventi in Siria. Un recente tweet di Hashem, scritto dopo la notizia delle dimissioni dei 22 giornalisti, lascia intendere che quella ricostruzione era corretta.

foto: AP Photo/Kamran Jebreili