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  • Mercoledì 8 maggio 2013

La storia delle ragazze di Cleveland

Sono state liberate ieri dopo un sequestro di dieci anni, grazie a un lavapiatti diventato già "eroe" e con tantissime cose ancora da capire

di Antonio Russo – @ilmondosommerso

Members of the FBI evidence response team carry out the front screen door from a house Tuesday, May 7, 2013, where three women were held, in Cleveland. Three women who disappeared a decade ago were found safe Monday, and police arrested three brothers accused of holding the victims against their will. (AP Photo/Tony Dejak)
Members of the FBI evidence response team carry out the front screen door from a house Tuesday, May 7, 2013, where three women were held, in Cleveland. Three women who disappeared a decade ago were found safe Monday, and police arrested three brothers accused of holding the victims against their will. (AP Photo/Tony Dejak)

Charles Ramsey, di professione lavapiatti in un ristorante, poco prima delle sei del pomeriggio di lunedì 6 maggio, era appena tornato nella sua casa monofamiliare nel quartiere residenziale di Tremont a Cleveland – dove vive da un anno – dopo essersi comprato la cena in un McDonald’s, quando ha sentito delle urla dalla casa vicina. In pigiama e ciabatte, si è avvicinato, e oltre una porta chiusa e parzialmente scardinata ha visto una giovane donna con una bambina in braccio che chiedeva aiuto e di essere liberata: «Ho pensato fosse una questione di violenza domestica».

Altri vicini hanno sentito il baccano e si sono avvicinati, e insieme a loro Ramsey è riuscito a forzare la parte inferiore della porta e a far uscire la donna e la bambina, e insieme hanno chiamato il 911, il pronto intervento della polizia: la donna, molto agitata e spaventata, ha detto a Ramsey e agli altri vicini, e poi alla polizia, di essere Amanda Berry, scomparsa senza più essere ritrovata il 21 aprile 2003, alla vigilia del suo 17mo compleanno, mentre tornava a casa dal fast food dove lavorava. Alla polizia ha dato l’indirizzo della casa da cui era appena scappata – il 2207 di Seymour Avenue – e chiesto rassicurazioni che arrivasse qualcuno in fretta, «prima che lui tornasse». Amanda ha subito fornito per telefono nome ed età dell’uomo che in quel momento non era in casa ma che lei temeva potesse rientrare da un momento all’altro: Ariel Castro, di 52 anni.

La polizia è arrivata e ha trovato altre due donne legate e intrappolate in casa: dopo averle liberate le ha portate in ospedale insieme ad Amanda e alla bambina. L’identità delle tre donne è stata comunicata dalla polizia nel giro di pochi minuti: oltre ad Amanda Berry, di 27 anni, si trovavano nella casa Georgina “Gina” DeJesus, di 23 anni, e Michelle Knight, di 32. Anche loro erano scomparse a Cleveland tra il 2002 e il 2004. La bambina – di sei anni – è la figlia di Amanda Berry, e l’identità del padre non è stata comunicata. Tutte quante sono state dimesse dall’ospedale martedì mattina, in buone condizioni di salute, e consegnate alle loro famiglie. La polizia ha confermato che si trovavano nella casa dal giorno della loro scomparsa. Per il loro sequestro sono stati arrestati Ariel Castro – 52 anni, proprietario della casa, di professione autista di scuolabus – e i suoi fratelli Pedro e Onil Castro, di 54 e 50 anni, che non vivevano con il fratello ma che sarebbero coinvolti nel sequestro. Non sono stati forniti dettagli sugli arresti.

La scomparsa di Amanda Berry è stata una vicenda molto seguita dai media locali negli ultimi dieci anni, e lei stessa ha confermato nella telefonata al 911 di averne consapevolezza («sono sui telegiornali da dieci anni»). Una volta detto il suo nome, sia a Ramsey che agli altri vicini del quartiere è stato chiaro fin da subito di chi si trattasse. «Appena me lo ha detto, non ho realizzato: pensavo che Amanda Berry fosse morta», ha detto Ramsey in una delle interviste rilasciate alle televisioni locali. Amanda Berry sarebbe l’unica a essere riuscita a slegarsi da sola e a raggiungere la porta di casa, da dove ha gridato aiuto.

(Luglio 2013: il video delle tre ragazze rapite)

Di Amanda Berry si perse ogni traccia il 21 aprile del 2003, dopo una telefonata in cui avvisava la sorella che stava rientrando a casa sfruttando un passaggio in macchina. Inizialmente l’FBI ritenne che potesse trattarsi di una fuga di casa, ma la settimana seguente una telefonata dal cellulare di Amanda alla madre riaprì il caso. L’anno successivo – senza alcuna notizia della figlia e con le ricerche dell’FBI a un punto morto – Louwana Miller, madre di Amanda, si rivolse a Sylvia Browne, una sensitiva e conduttrice di show televisivi molto nota negli Stati Uniti: Sylvia Browne disse che dubitava che Amanda fosse ancora viva (martedì su Internet sono circolate accuse molto aggressive contro Browne). Louwana Miller morì nel 2006 per le complicazioni di una pancreatite, dopo alcuni mesi di ricovero in ospedale.

Quella di Georgina DeJesus fu l’altra scomparsa molto nota, avvenuta nella stessa zona di Cleveland: sparì che aveva 14 anni – il 2 aprile del 2004, mentre tornava a casa da scuola – non lontano da dove si persero le tracce di Amanda Berry. L’agente dell’FBI Timothy Kolonick, che aveva già lavorato al caso Berry, non confermò e non escluse collegamenti tra le due scomparse. Nel 2006 due abitanti del quartiere – Matthew Hurayt e John McDonough – furono arrestati con l’accusa di omicidio aggravato: secondo le indicazioni di un collaboratore di giustizia (poi condannato per falsa testimonianza), avevano occultato il cadavere di Georgina DeJesus seppellendolo sotto casa, ma non fu ritrovato alcun riscontro e i due furono rilasciati.

Michelle Knight era stata la prima delle tre ragazze a scomparire. L’ultima volta che venne vista fu il 23 agosto del 2002 a casa del cugino, a pochi chilometri dalla casa di Ariel Castro: aveva vent’anni. In un’intervista al Plain Dealer di Cleveland la nonna di Michelle disse di credere che la nipote fosse scappata dopo aver perso la custodia della figlia. La madre di Michelle, che intanto si trasferì in Florida, tornò spesso a Cleveland a continuare ad appendere volantini nel quartiere anche dopo che la polizia abbandonò le ricerche.

Alcuni vicini di casa di Castro hanno detto di avere notato e denunciato atteggiamenti sospetti già in passato, mentre Ramsey aveva subito spiegato di aver frequentato Castro senza notare niente di strano. Elsie Cintron – che vive a poche centinaia di metri di distanza – ha detto che sua nipote una volta vide una donna nuda strisciare carponi sul retro della casa di Castro, di aver chiamato la polizia ma di non essere stata presa sul serio. Un altro vicino, Israel Lugo, ha detto di aver sentito – a novembre del 2011 – dei colpi provenire dalla porta della casa di Castro, e che c’erano delle borse nere appoggiate sulle finestre. Altri vicini hanno detto di aver sentito qualche volta provenire delle urla, e di aver visto Castro camminare qualche volta con una bambina. Martedì, in una conferenza stampa, la polizia ha ammesso di essere andata due volte a casa di Castro negli ultimi quindici anni: una volta Castro telefonò alla polizia nel 2000 – prima della scomparsa delle ragazze – per segnalare una rissa davanti casa, ma nessuno fu arrestato per quell’episodio; l’altra volta, nel 2004, la polizia andò a casa di Castro – che era autista di scuolabus – per chiedere informazioni su un bambino lasciato incustodito sull’autobus, ma nessuno aprì alla porta (poi riuscirono a contattarlo e conclusero che non ci fu alcun reato). Castro era stato arrestato nel 1993, con l’accusa di violenza domestica e aveva trascorso tre giorni in carcere prima di essere rilasciato su cauzione.

La polizia e le famiglie hanno chiesto ai media di dare il tempo alle ragazze di riprendersi da quel che è successo loro, e nessuna informazione è stata diffusa sulle condizioni della loro detenzione e su cosa sia successo in questi anni. In molti si chiedono da ieri come sia stato possibile tenerle prigioniere per tanto tempo, ma il quartiere è una zona trascurata ed emarginata della città, dove la presenza di varie piccole criminalità fanno sì che in molti “abbiano paura di parlare coi vicini”. Proprio per questo per tutta la giornata di martedì il fatto che Ramsey sia intervenuto dove pensava ci fossero delle violenze domestiche è stato molto celebrato dai media e su Internet, con l’attribuzione della canonica definizione di “eroe” della giornata.

Charles Ramsey – da subito dopo che aveva aiutato Amanda a rompere la porta e scappare – ha concesso numerose interviste alle televisioni locali, raccontando gli eventi con grande disinvoltura e gusto del dettaglio (dopo che aveva ripetuto molto – anche nella chiamata alla polizia – che stava mangiando “un McDonald’s”, la stessa società ha twittato un messaggio di congratulazioni). La sua telefonata al 911, straordinaria, si può ascoltare sottotitolata qui:

Ramsey ha detto che ogni tanto ha mangiato e ascoltato musica con Ariel Castro, e ha detto di non aver notato mai niente di insolito nei suoi comportamenti. Le interviste di Ramsey sono state riprese da tutti i siti di news statunitensi e dai social network. «Amico, ho capito che c’era qualcosa che non andava, quando una bella ragazza bianca è corsa tra le braccia di un nero», ha detto Ramsey al giornalista di NewsChannel5 che lo ha intervistato in mezzo agli altri abitanti del quartiere. Adam Clark Estes, giornalista dell’Atlantic Wire, poche ore dopo l’intervista di Ramsey ha scritto: «Quest’uomo sta per diventare un fenomeno del web, sicuro».